Page 67 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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            Giuseppe Garibaldi. l ’ uom o, il condottiero, il Generale

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            altre opzioni . Si è parlato, in proposito, di sano realismo , e si è chiamata in causa
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            la sua natura pragmatica che gli fa anteporre la concretezza dei risultati alle nebbie
            dell’utopia. Indubbiamente è così, ma si sbaglia se si ritiene che a spingere Garibaldi in
            questa direzione sia solo la rottura con Mazzini, determinata dai contrasti sulla condu-
            zione della guerra e sul tema della dittatura rivoluzionaria.
               Il dissidio, certo, è stato forte e ha avuto un suo innegabile peso; ma a monte ci
            sono due altri sentimenti: uno, più di fondo, motivato dalla diffidenza di Garibaldi
            verso le ideologie in genere e verso lo spirito fazioso, dogmatico e intollerante con
            cui crede che vengano propagandate (tanto più se padre di queste ideologie è un uomo
            che, come Mazzini, non ha mai imbracciato un fucile e se anche l’ha imbracciato non
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            l’ha mai usato ); l’altro, più empirico perché risalente alle concrete esperienze fatte in
            Sud America, provocato in lui dallo spettacolo dei personalismi dei caudillos e delle
            divisioni interne che ne erano scaturite. Di tutto ciò, di questa sua paura dell’effetto
            nocivo delle divisioni e delle lezioni che ne ha tratto, Garibaldi non fa mai mistero e se
            ha un merito con Mazzini, è quello di giocare a carte scoperte e di farlo subito. Non ha
            ancora rivisto l’Italia e già da Londra il 26 febbraio 1854 gli scrive (in risposta a una di
            Mazzini di quattro giorni prima):
               “O possiamo fare da noi, rovesciando stranieri e domestici ostacoli; oppure dob-
            biamo appoggiarci ad un governo da cui possiamo sperare l’unità italiana solamente.
            Io non credo nel primo concetto, e molte sono le ragioni che me ne convincono: pochi
            mezzi, le masse che ponno fare una rivoluzione non servono alla formazione d’un
            esercito per sostenerla, non avendo con noi massime i contadini; quindi sono certo che
            qualunque motto nostro proprio ad altro non servirebbe, che a fare delle vittime, scredi-
            tando ed allontanando l’opera di redenzione. Appoggiarci al governo piemontese è un
            po’ duro io lo capisco, ma lo credo il miglior partito, ed amalgamare a quel centro tutti
            i differenti colori, che ci dividono; comunque avvenga, a qualunque costo. Rannodare



            17  Sulla lunga preparazione delle condizioni per l’accordo tra Garibaldi e l’establishment pie-
               montese cfr. Anna Maria Isastia, Il volontariato militare nel Risorgimento. La partecipazione
               alla guerra del 1859, Stato Maggiore Esercito. Ufficio storico, Roma 1990, pp. 17-63.
            18  A. Scirocco, op. cit., p. 204
            19  Tale rimprovero Garibaldi lo muove non di rado, spesso parlandone con i suoi fedelissimi;
               il documento scritto più duro verso Mazzini lo si ha in una lettera del 1859 a Isaac Crother,
               un libraio di Newcastle upon Tyne, al quale Garibaldi spiega: “Had Mazzini shown enough
               courage to lead his friends in the danger, had Mazzini shown that noble feeling which puts the
               cause of his own oppressed country above every selfish consideration, Mazzini might have
               been a great man”. Nelle righe successive Garibaldi – bontà sua - difendeva Mazzini dal so-
               spetto di essere “a paid agent of the European despotism” (G. Garibaldi, epistolario, cit., vol.
               IV: (1859), a cura di Massimo De Leonardis, Istituto per la storia del Risorgimento italiano,
               Roma 1982, p. 130).
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