Page 72 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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            finalmente libera dalla nefasta influenza del papato e rispettata da tutti. Che avesse di
            fronte Cavour avrebbe forse dovuto indurlo a una maggiore prudenza o ad essere meno
            ottimista.
               Sul finire del 1858 Garibaldi cominciò ad allertare gli uomini del suo Stato Maggio-
                                    31
            re e i commilitoni più fidati . Nei mesi precedenti aveva, nel corso di ripetuti colloqui
            segreti con Cavour, gettato le basi per l’organizzazione di un corpo di volontari che,
            posto ai suoi ordini, avrebbe dovuto svolgere in caso di guerra funzioni di supporto
            alle operazioni dell’Esercito franco-piemontese. Anche qui c’era un risvolto politico: i
            volontari, che Carlo Alberto aveva tenuto alla larga nel ’48, erano la rivoluzione nazio-
            nale che, schierata in battaglia, avrebbe depurato le ambizioni della monarchia sarda
            di quel senso dinastico che in passato era stato il suo unico obiettivo. E di volontari ne
            affluirono tanti, anche ex mazziniani, da ogni parte d’Italia, a testimonianza del fatto
            che almeno in questo Garibaldi aveva visto giusto. Non gli sfuggì, tuttavia, la silenzio-
            sa ostilità manifestatagli da una parte dell’establishment militare piemontese, un ceto
            molto più potente di quanto potessero far ritenere i meriti effettivamente acquisiti sul
            campo e da tempo abituato a guardare a lui come ad un dilettante fortunato privo di
            qualunque dottrina in materia di arte della guerra; allo stesso modo non poté non notare
            che rifornimenti, materiali e uomini gli venivano dati con estrema parsimonia, appun-
            to per ribadire il ruolo subalterno del suo impiego; ma, nonostante affiorasse in lui il
            sospetto di essere l’oggetto di una voluta discriminazione, ostentò per tutta la guerra
            nei confronti delle gerarchie militari e politiche una disciplina e un rispetto esemplari,
            trattando Cavour con una deferenza che mai ci si sarebbe aspettati da uno come lui,
            da sempre critico verso il potere politico subalpino. Probabilmente fu costretto a farlo
            perché una eventuale sua protesta avrebbe ridato fiato ai mazziniani, ma così contribuì,
            forse più che con le operazioni militari, a creare quel clima di concordia generale che
            aveva sempre auspicato e che tanto impressionò gli osservatori stranieri.
               Ancora pochi mesi, e prima l’armistizio di Villafranca, quindi l’impedimento op-
            posto alla sua volontà di invadere lo Stato pontificio, infine la cessione della sua città
            natale alla Francia lo avrebbero convinto che al tavolo sul quale aveva accettato di
            giocare qualcuno, barando, si era preso tutta la posta in gioco. E a quel punto, volendo
            rilanciare, non c’era che da sperare nella mano successiva













            31   Cfr. In proposito A.M. Isastia, op. cit., pp. 87-112.
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