Page 68 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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            i brani al maggior pezzo di tronco” .
               Non passerà che qualche mese, e Mazzini, il Mazzini che ha fede nel popolo e nella
            sua volontà di insurrezione ad ogni costo, gli apparirà come “quel simulacro, ormai
            putrido, che un solo crollo deve precipitare dall’arena italiana, ove si mantiene ancora
                                                                          21
            per debolezza nostra, e ove impiccia l’andamento dell’avvenire italiano” !
               Non si potrebbe essere più chiari. Nella concordia sta, secondo Garibaldi, il segreto
            della vittoria. E, volenti o nolenti la concordia, ossia il superamento della pregiudizia-
            le antimonarchica, è il pre-requisito per poter puntare alla vittoria, dal momento che
            il movimento democratico nella sua più recente versione mazziniana, e cioè a dire il
            Partito d’Azione, non ha le forze e i mezzi per essere all’altezza dei grandi piani che
            concepisce. A Garibaldi, bisogna dirlo, importa poco che il Piemonte abbia uno Sta-
            tuto e delle istituzioni rappresentative; ciò che conta è che abbia un esercito e un re, il
            quale peraltro, ambizioso com’è, non vede l’ora di mettersi alla sua testa. Anche que-
            sta era un’idea che potremmo definire di matrice sudamericana: proprio in Uruguay,
            nel momento in cui era stato messo dal governo locale a capo della flotta, Garibaldi,
            che fino ad allora aveva conosciuto solo lo strumento discontinuo e fortunoso della
            guerriglia, aveva potuto apprezzare l’utilità di un impiego come regolare, con rifor-
            nimenti e attrezzature più o meno garantite, con una copertura politica e diplomatica
            delle sue azioni, con una disciplina più facile da far rispettare in ossequio alla legalità
            imposta dall’alto. Intendiamoci: non che l’Uruguay fosse una potenza, ma in quanto
            Stato sovrano era riconosciuto e messo in un certo senso sotto tutela nella sua guerra
            con l’Argentina da Francia e Inghilterra. Per un combattente questo significava passare
            dalla figura ambigua del corsaro, dell’avventuriero, magari anche del bandito a quella
            del militare di carriera, e non era una differenza da poco. Si pensi alla soddisfazione
            che Garibaldi proverà nel momento in cui l’esercito sardo gli darà i gradi di generale e
            gli affiderà il comando dei Cacciatori delle Alpi.
               Si sbaglierebbe però a credere che il problema si rivestisse di aspetti tecnico-profes-
            sionali attinenti esclusivamente alla dimensione militare e dunque politicamente neutri.
            La proposta di Garibaldi è innegabilmente anche una proposta che, per molti esponenti

            20  G. Garibaldi, epistolario, cit., vol. III, p. 62. Nell’incontro di poco successivo che Garibaldi
               ebbe con Mazzini a Londra furono ripetuti gli stessi concetti, con un surplus di rigidezza da
               parte di Garibaldi determinato dagli attacchi della stampa mazziniana alla monarchia sarda
               (cfr. in proposito la testimonianza di A. Herzen, op. cit., pp. 263-265).
            21  Lettera del 9 novembre 1854 a Lorenzo Valerio, in G. Garibaldi, epistolario, cit., vol. III,
               p. 88. Da notare che, almeno a giudicare dalle lettere giunte sino a noi, Garibaldi ricorre ad
               espressioni particolarmente dure nei confronti di Mazzini solo quando si rivolge a corrispon-
               denti piemontesi, di solito esponenti della Sinistra moderata e monarchica; ma anche con
               Cavour, in una delle prime lettere indirizzategli, non si fa sfuggire l’occasione per denigrare,
               riferendosi al moto della Lunigiana, “una di quelle commedie che Mazzini chiama rivoluzio-
               ne” (ivi, p. 148, lettera del 25 ottobre 1856).
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