Page 71 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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Giuseppe Garibaldi. l ’ uom o, il condottiero, il Generale
il quale non era arduo scorgere il volto di Cavour? Al di là della recisa condanna pro-
nunziata allora da alcuni circoscritti ambienti di repubblicani, ancora una volta bisogna
fare riferimento alla mentalità pragmatica di Garibaldi ovvero, come è stato affermato,
alla “sua capacità di calare l’ispirazione ideale o la visione generale nella situazione
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specifica e nelle concrete e particolari esigenze del momento” , e questo a prescindere
da ogni problema di fedeltà ideologica, che per lui voleva dire dipendenza da un parti-
to, il che implicava una divisione in parti, in frazioni, laddove sarebbe stata auspicabile
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la concordia . Invocando la convergenza di tutti su un solo programma e un solo centro
propulsore, Garibaldi pensava di stabilire un rapporto con le masse, o, quanto meno,
con una porzione di società italiana più ampia di quanto fosse mai riuscito a Mazzini.
In proposito, era anche convinto di avere un grado di conoscenza specifica di molto
superiore a quello che poteva vantare un teorico e politico puro quale era considerato
Mazzini , per giunta trapiantato da quasi trent’anni in un paese straniero. E però io
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ritengo che non si possa fare a meno di osservare, sul punto specifico della sua scelta di
un asse preferenziale col Piemonte, che egli promise sostegno incondizionato a una li-
nea, quella filosabauda, quando ancora non se ne conoscevano i contenuti, a cominciare
dallo stesso obiettivo dell’unità nazionale che, quando lui aderì alla Società Nazionale,
non si può dire avesse già trovato spazio nell’agenda di Cavour. Quella di Garibaldi fu
in certo qual modo una scommessa, e insieme un atto di fiducia nella propria capacità
di indirizzare gli eventi verso il traguardo desiderato. Al pari di Cavour fece anche lui
una puntata su un tavolo su cui si giocava d’azzardo, e in questo senso il suo non fu
un atteggiamento rinunciatario, perché contava di utilizzare il proprio ascendente (che
vedeva in crescita) per aggregare attorno a sé la democrazia italiana e spingere Vittorio
Emanuele II, del quale non si stancava di evocare la preminenza rispetto al governo e
al Parlamento, a perseguire tramite la “Nazione armata” la creazione di un’Italia unita,
28 Rosario Villari, La prefigurazione politica nel giudizio storico su Garibaldi, in studi storici, a.
XXIII (1982), pp. 262-263.
29 Si consideri ciò che Garibaldi scriveva a G.B Cuneo alla vigilia dello scoppio della guerra del
1859: “Oggi l’Italia presenta uno spettacolo magnifico; i partiti sono scomparsi. La sola idea
di cacciare l’austriaco domina gli spiriti” (lettera del 24 aprile 1859, in G. Garibaldi, epistola-
rio, cit., vol. IV, p. 33).
30 Ancora una volta ci soccorre la preziosa testimonianza di Herzen che nel 1854 raccolse dalla
viva voce di Garibaldi una dichiarazione trascritta nei termini seguenti: “Sono sempre stato
repubblicano, tutta la mia vita, ma ora non si tratta di repubblica. Le masse italiane, io le cono-
sco meglio di Mazzini; ho vissuto in mezzo a loro, la loro vita. Mazzini conosce l’Italia colta
e ne domina gli spiriti, ma con essi non si mette insieme un esercito per scacciare gli austriaci
e il papa; per le masse, per il popolo italiano v’è una sola bandiera: l’unità e la cacciata degli
stranieri! E come si può arrivare a ciò se ci si tira addosso l’unica forte monarchia italiana; la
quale, poco importa per quali motivi, è disposta a impegnarsi per l’Italia e ha paura; invece di
accattivarsela, la si respinge e la si offende” (A. Herzen, op. cit., p. 264).