Page 69 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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            Giuseppe Garibaldi. l ’ uom o, il condottiero, il Generale

            della Sinistra, apre la strada a un ripensamento globale della propria collocazione nel-
            la società italiana e, soprattutto, del proprio rapporto con il Piemonte cavouriano. Su
            questo punto si può misurare tutta l’ampiezza della popolarità del personaggio: Gari-
            baldi non è un militante qualsiasi né serve a molto sperare di potersi sbarazzare di lui
            negandogli capacità di pensiero e confinandolo in un ruolo di mero esecutore materiale
            delle direttive altrui; il suo è un esempio contagioso: nel momento in cui comincia a
            prendere le distanze dal metodo insurrezionale caro a Mazzini, Garibaldi avvia anche
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            quel processo di assorbimento molecolare, per dirla con Gramsci , che in pochi anni
            svuoterà le file del mazzinianesimo di molti dei suoi aderenti, in particolare di quanti in
            passato si erano segnalati per coraggio e attitudine al combattimento.
               Fu dunque sulla scia di Garibaldi che molti dei capi militari del ’48 (Giacomo Me-
            dici, Nino Bixio, Enrico Cosenz tra gli altri) si allontanarono gradualmente dal Partito
            d’Azione: lo fecero in parte per aver toccato con mano e talvolta vissuto dall’interno i
            fallimenti della strategia mazziniana, ma lo fecero anche perché il prestigio accumulato
            nei venti anni precedenti aveva fatto di Garibaldi oltre che un trascinatore di uomini an-
            che un persuasore di coscienze (che è la migliore risposta a chi recentemente ha preteso
            di confinarlo nell’area della pre-politica, ossia in quel luogo dove non giunge la luce
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            dell’intelligenza ). Era da poco rientrato in Italia che buttava sul piatto della bilancia
            una dichiarazione pubblica inviata ad un foglio repubblicano genovese e destinata ad
            aprire una profonda crisi nella democrazia italiana. Basta leggerne le poche righe di cui
            si componeva (Garibaldi è sempre laconico) per capire quale carica deflagrante abbia
            la sua presa di posizione: “Siccome dal mio arrivo in Italia, or son due volte ch’io odo
            il mio nome frammischiato a dei movimenti insurrezionali, che io non approvo, credo
            dover mio pubblicamente manifestarlo, a prevenire la gioventù nostra, sempre pronta
            ad affrontare pericoli per la redenzione della patria, di non lasciarsi così facilmente tra-
            scinare dalle fallaci insinuazioni d’uomini, ingannati od ingannatori, che spingendola a
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            dei tentativi intempestivi, rovinano, od almeno screditano, la nostra causa” .
            22  Antonio Gramsci, Il Risorgimento, Einaudi, Torino 1949, pp. 71-73 e 100-104: come è noto,
               nell’analisi di Gramsci la perdita di direzione politico militare da parte del Partito d’Azione è
               provocata dalla rinunzia a porre “in tutta la sua estensione la questione agraria” (p. 103).
            23  Tale la tesi di Alberto M. Banti e Marco Mondini, Da Novara a Custoza: culture militari e
               discorso nazionale tra Risorgimento e Unità, in Storia d’Italia. Annali, 18: Guerra e pace,
               Einaudi, Torino 2002, p. 427. Banti ha ribadito recentemente questo suo convincimento nella
               relazione presentata ad un convegno tenutosi a Parigi.
            24  La dichiarazione, datata da Genova, 4 agosto 1854, era destinata al giornale mazziniano ge-
               novese italia del Popolo: ora la si legge in G. Garibaldi, epistolario, cit., vol. III, p. 80. Prima
               di farla pubblicare, Garibaldi la trasmise all’intendente generale di Genova, Domenico Buffa,
               per ottenerne l’autorizzazione. L’espressione “ingannati o ingannatori” non piacque per nulla
               a Mazzini, che si lamentò del fatto che su di essa un uomo come Giacomo Medici non avesse
               trovato nulla da ridire (lettera a Emilie Hawkes del 2 febbraio 1855, in Giuseppe Mazzini,
               edizione nazionale degli scritti, vol. LIV, Galeati, Imola 1930, p. 36).
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