Page 88 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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            gere, con lo scopo dichiarato di usare la penna come prolungamento e completamen-
            to dell’azione. Da qui l’importanza di quanto scrive sulle vicende del 1859 e che
            abbiamo già ricordato. In queste pagine troviamo però, oltre ai dati storici, il senso di
            un consapevole consenso ad una situazione frustrante, ma non modificabile, che egli
            accetta coscientemente.
               «Dopo pochi giorni della mia permanenza a Torino, ove dovevo servire di richia-
            mo ai volontari italiani, io m’accorsi subito con chi avevo a che fare, e cosa da me
            si voleva. Me ne addolorai; ma che fare. Accettai il minore dei mali; e non potendo
            oprare tutto il bene, ottenerne il poco che si poteva per il nostro paese infelice.
               Garibaldi doveva fare capolino, comparire, e non comparire. Sapessero i volontari
            ch’egli si trovava a Torino per riunirli, ma nello stesso tempo, chiedendo a Garibaldi
            di nascondersi per non dare ombra alla diplomazia. Che condizione!
               Chiamar i volontari e molti, per comandarne poi il minor numero possibile; e di
            questi coloro che si trovavano meno atti alle armi.
               I volontari accorrevano; ma non dovevano vedermi. Si formarono i due depositi di
            Cuneo e Savigliano, ed io fui relegato a Rivoli, verso Susa. La direzione e l’organiz-
            zazione dei corpi fu affidata al generale Cialdini. Di Cuneo ebbe il comando Cosen-
            za; di Savigliano Medici, ambi egregi ufficiali, che formarono il primo e il secondo
            reggimento, base ed orgoglio dei Cacciatori delle Alpi. Un terzo reggimento si formò
            pure a Savigliano con Arduino, composto anche questo dalli stessi elementi, ma che
            non fece la buona figura dei primi per colpa del capo.
               Una commissione d’arruolamento, istituita a Torino sceglieva la gioventù più for-
            te e meglio conformata, dell’età da 18 a 26 anni per i corpi di linea. I troppo giovani,
            i troppo vecchi, o difettosi, ai corpi volontari.
               Nell’ufficialità si fu più corrivi; e si ebbe il buon senso d’accettare la maggior
            parte degli ufficiali da me proposti. Non tutti erano accademici; ma quasi tutti furono
            secondo le mie speranze, degni della santa causa che si propugnava. […] affluendo
            oltremodo i volontari, per paura che ne avessi troppi, si chiamò il generale Ulloa a
            formare i Cacciatori degli Appennini, che dovean raggiungermi, e che giammai vidi
            sino alla fine della guerra.
               […] comunque fosse, noi erimo lanciati alla liberazione della nostra Italia! Sogno
            di tutta la vita!…Io, e i miei giovani compagni, anelavamo l’ora della pugna, come il
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            fidanzato quella di congiungersi a colei ch’egli idolatra» .
               Molte pagine dopo, mentre racconta le vicende di quella campagna militare, con-
            dotta vittoriosamente con pochi uomini, Garibaldi si lascia andare alla commozione
            ma anche alla rabbia per “il dopo” politico che ha massacrato i suoi uomini più e
            peggio della guerra.


            40   Giuseppe Garibaldi, Memorie cit., p. 203-204 .
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