Page 92 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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                  Ci  andai.  Venni  rimarcato  e  Türr  venne  a  dimandarmi  perché  vestivo
               l’uniforme. Io gli risposi che, giunto a Milano, avendo sentito sparlare delle
               Camicie Rosse, l’avevo messa per vedere se qualcuno si fosse permesso di fare
               qualche malevola allusione; in tal caso avevo pronta la sciabola, per la difesa
               del nostro onore.
                  Parlando con moltissimi amici, gli spiegai il perché ero in uniforme. Verso
               la una, tutto procedendo regolarmente, tornai a casa a mettermi in frack [sic], e
               tornai alla festa; finimmo con un’ottima cena, con numerosi amici .”
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               Era il gesto di un uomo che vedeva nel proprio garibaldinismo l’elemento fonda-
            mentale che giustificava il suo accesso nell’Esercito e la principale credenziale del
            suo diritto a farne parte. Ciò non significava che non sapesse distinguere i piani e i
            tempi, e anzi, descrivendo l’assedio di Capua da parte delle truppe di Della Rocca, si
            preoccupava quasi di ammonire che lì «finiva il compito garibaldino» .
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               Era comprensibile che un personaggio come Dezza si esprimesse in quel modo,
            cancellando dalla narrazione le resistenze delle camicie rosse all’idea di doversi far
            da parte, che se non furono sue, certo furono di molti altri. Ma questa accettazione di
            una sorta di passaggio del testimone tra volontari e regolari non escludeva, come ab-
            biamo visto, che egli stesso percepisse e biasimasse quella diffusa diffidenza politica
            verso i garibaldini sulla quale si fondarono molte scelte delle fase postunitaria.


               La militanza in camicia rossa rimanda ad un tipo di volontariato i cui protagonisti
            non devono essere intesi tanto come «professionisti» del mestiere, ma piuttosto come
            portatori di attese politiche e investimenti ideali autonomi. Ed è proprio questo carat-
            tere distintivo ad attirare sospetti e a sollecitare tensioni rispetto ai modelli militari
            tradizionali.
               In effetti nel decennio postunitario la storia dei rapporti tra volontariato garibaldi-
            no ed Esercito   fu una storia di incontri e di scontri. Si registrarono indubbiamente
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            processi non trascurabili di confluenza e integrazione: basterà ricordare che tra i soli
            Mille di Marsala furono più di 200 gli ex garibaldini che per periodi più o meno lun-



            2   Ivi, pp. 153-154.
            3   Ivi, p. 135.
            4   Si veda Sergio La Salvia, Regolari e volontari: i momenti dell’incontro e dello scontro (1861-
               1870), in Garibaldi condottiero. storia, teoria, prassi, a cura di Filippo Mazzonis, Franco
               Angeli, Milano 1984, pp. 353-421. Mi permetto anche di rinviare a Eva Cecchinato, Camicie
               rosse. I garibaldini dall’Unità alla Grande Guerra, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 5-134. Per
               una contestualizzazione si veda Alfonso Scirocco, I democratici italiani da Sapri a Porta Pia,
               Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1969.
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