Page 177 - Atti 2014 - La neutralità 1914-1915. la situazione diplomatica socio-politica economica e militare italiana
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             azione, una volta preso forma, deve essere sperimentata su di una scala rilevante
             per poter incidere realmente sul progresso di una nazione. Nelle grandi nazioni
             industriali all’inventore capace non mancavano sovvenzioni e stimoli, quello che
             si chiama con termine un po’ fumoso “l’humus culturale”, alle proprie ricerche.
             In Italia tutto era rimesso alla inventiva del singolo o al patrocinio occasionale di
             un mecenate. Un fattore di cui la cultura italiana non si era più liberata dai tempi
             del Rinascimento.
                Fintanto che industria e agricoltura fossero rimaste allo stato arretrato nel qua-
             le  le aveva fotografate l’inchiesta Jacini, ben pochi progressi  avrebbero potuto
             compiere le scienze ad essa più legate: la chimica, la fisica meccanica, la biologia
             e la medicina.
                Come accade talvolta tuttavia, furono le scienze progredite a tendere una mano
             alle “cugine” meno fortunate, e l’eccellente scuola dei matematici italiani ebbe
             modo di formare fra i suoi allievi anche alcuni dei futuri quadri dell’industria e
             della ricerca italiane del XX secolo. Fu infatti un matematico, Francesco Brioschi,
             a fondare nel 1863 il Politecnico di Milano, l’istituto di formazione universitaria
             nel quale si sarebbero formati gli studenti “tecnici”, e dal quale avrebbero preso
             l’avvio quegli studi di idrodinamica che ritroveremo fra poco all’origine del primo
             “miracolo” industriale italiano.
                Occorrerà a questo punto soffermarsi brevemente sulle condizioni economiche
             dell’Italia dall’Unità ai primi decenni del XX secolo.

                In un epoca di sostanziale  progresso economico  per le principali  nazioni
             dell’Europa occidentale, l’Italia rappresentava alla metà del XIX un’area arretra-
             ta. Il limite dello sviluppo economico italiano, dal quale dipendeva come già detto
             anche quello scientifico, era dato da diversi fattori: la scarsezza di risorse naturali;
             la scarsezza di capitale disponibile; la scarsezza di un  diffuso spirito imprendi-
             toriale. Arretratezza agricola e industriale si intrecciavano in questo quadro in un
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             unico problema difficilmente solvibile .
                Il poco capitale disponibile, l’“accumulazione primitiva”, era infatti per lo più
             investito da chi lo possedeva nella terra, secondo un processo in atto da oltre due
             secoli per il quale anche il dinamico mercante veneziano o il banchiere fiorentino,
             motori dell’economia europea moderna, si erano convertiti in redditieri latifon-
             disti. Anche nel Piemonte cavouriano e nella Lombardia ex-asburgica, dove pure
             l’agricoltura era più moderna e razionale che non nei grandi latifondi, l’oggetto
             degli investimenti rimaneva la terra stessa, e spesso nella sua accezione più im-

             3   Il reddito procapite era meno della metà di quello prussiano, meno di terzo di quello francese e
                 poco più di un quarto di quello britannico. Il Regno era inoltre gravato da un grosso debito este-
                 ro, che costava circa il 9% annuo in interessi. R. Luraghi, Problemi economici dell’Italia unita
                 (1860-1918), in: AA. VV., Nuove questioni di storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia,
                 p.391.
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