Page 59 - Le donne nel primo conflitto mondiale - Dalle linee avanzate al fronte interno: La grande guerra delle italiane - Atti 25-26 novembre 2015
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strada percorribile anche dalle automobili, grazie agli alpini che avevano tagliato e
scavato la roccia, addomesticando la montagna, e privandola della sua qualità prin-
cipale “l’inaccessibilità”.
I percorsi a piedi che dovevano affrontare i soldati, quando gli era stata assegnata
una corvée, erano resi faticosi dal carico che devono portare aiutati dai loro muli.
Oltre ai propri beni di sopravvivenza l’alpino doveva trasportare equipaggiamenti e
munizioni, e qualora si trattasse di un proiettile di grosso calibro erano necessari due
uomini e due muli per raggiungere luoghi che distavano a volte dalle dieci alle venti
ore. Le artiglierie avevano creato spesso delle difficoltà e si era allora dovuto ricorrere
a vere opere di ingegneria soprattutto per issarle sulle cime. In questo campo le storie
documentate rivivevano grazie ai racconti degli alpini che Flavia Steno si limitava a
trascrivere: “Furono gli alpini che si sostituirono ai muli e arrivarono con prodigi d’a-
crobatismo dove pareva umanamente impossibile di poter arrivare”. Il viaggio verso
l’alto, verso il Monte Nero, Krn in sloveno, rappresentò l’ultima impresa compiuta
dalla scrittrice in queste zone. Il tempo che accompagnava la loro ascensione non
era confortante e la nebbia che avvolgeva alla partenza Drezenca, lasciò il posto ad
una pioggia costante. La giornalista provava un discreto imbarazzo nel sostenere la
scarsa loquacità di un alpino, essendo tra l’altro curiosa di raccogliere le impressioni
dei veri protagonisti. Il suo intuito la portava a pensare che un argomento d’interesse
avrebbe potuto essere il mulo che la stava scortando: “gli chiedo del mio mulo che è
poi il suo, ogni alpino considerandolo proprio il mulo affidato alle sue cure, apprendo
che si chiama Tergo e che è uno dei migliori e che sta percorrendo quella che è la sua
passeggiata quotidiana”. L’alpino le fa notare che se si lasciassero le briglia quando è
carico lui si girerebbe tranquillamente e prenderebbe la via del ritorno dato che per
questo animale oppresso dalla fatica “la strada che scende è sempre quella buona”. In-
tanto il peggioramento della scalata induceva la scrittrice a collaborare con il mulo per
alleggerirgli il peso, sollevandosi sulle staffe; le manovre da compiere non le impedi-
vano di osservare lungo l’itinerario diverse scritte su tavole di legno che invitavano pe-
rentoriamente i soldati a tenere in ordine la persona e gli effetti personali e di servirsi
dei servizi igienici in caso di necessità. In particolare era colpita dall’avvertimento che
vietava di bere l’acqua non contenuta nelle vasche, ma la ragione risiedeva nel fatto
che, nonostante la zona abbondasse d’acqua, poca era risultata pura e potabile dopo
le analisi cosicché gli alpini avevano avuto l’onere di trasportare l’acqua sterilizzata e
conservarla nelle vasche.
La giornalista interrogò i suoi interlocutori riguardo al piccolo santuario che emer-
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