Page 57 - Le donne nel primo conflitto mondiale - Dalle linee avanzate al fronte interno: La grande guerra delle italiane - Atti 25-26 novembre 2015
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La seconda tappa dell’itinerario era l’ospedale da campo, la prima unità sanitaria
di seconda linea che congiungeva le unità di prima linea con gli ospedali che funzio-
navano nelle retrovie; solitamente veniva sistemato ad una giornata di distanza dalla
zona dell’azione. Come sottolinea la giornalista la “guerra per il suo carattere speciale
di guerra quasi di posizione ad avanzata lentissima” non necessitava di dislocamenti
frequenti e precarissimi, cosicché sono state prese a prestito scuole, case coloniche,
scuderie, essiccatoi da bozzoli, ville principesche. La prima operazione cui erano sot-
toposti i malati scesi dai camion che provenivano dalle altre postazioni era il lavaggio
del corpo e l’eliminazione o la depurazione degli indumenti infettati dai parassiti,
apportatori di tifo, conseguenza inevitabile della vita di trincea. Nelle corsie di uno di
questi ospedali la Steno incontrò una suora, il primo incontro con una donna, che la
portò ad affermare con stupore: “è la prima volta, durante il mio pellegrinaggio che
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vedo utilizzata una donna per l’assistenza ai feriti” .
Gli ospedali di tappa erano ancora più accoglienti e più grandi. Ad esempio l’o-
spedale del Seminario ospitava circa cinquecento ricoverati. Infine si arrivava agli
ospedali territoriali, dove si era al sicuro dal pericolo, ma soprattutto dove i ricoverati
erano consapevoli di essere a pochi passi dalle loro case d’origine e dove si sperava di
tornare in famiglia in breve tempo. In particolare molti soldati appartenenti all’eserci-
to nemico erano prigionieri curati in queste unità. Nell’animo della scrittrice la figura
dello straniero sofferente prevaleva rispetto all’orgoglio patriottico. Una lettera scritta
da un soldato boemo di diciannove anni testualmente riportata in un suo articolo
era testimonianza agli occhi della giornalista dell’ingiustizia universale della guerra:
“Io sono un semplice e subordinato soldato austriaco, un vostro nemico, sono però
ancora un fanciullo, quello che deve morire, sono ancora giovane e voglio ancora ve-
dere mia Madre, mio Padre, i miei fratelli e le mie sorelle, voglio ancora vedere la mia
Patria, la mia vecchia Praga d’oro, questi pensieri pesano mezzo quintale, vi prego, se
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ciò è possibile salvatemi!” . Accanto ai letti delle corsie su cui erano sdraiati cechi,
rumeni, polacchi, sloveni e ungheresi, per lo più dall’aspetto adolescente, la giornalista
si domandava se davvero il nemico fosse rappresentato da loro. Nell’osservare le loro
posizioni immobili e inermi, ritrovava la sensazione provata negli ospedaletti da cam-
po di fronte agli italiani: l’impotenza, la mancanza di forze e di vitalità. “Non si vede
più il soldato, non si vede più l’odiata uniforme, si vede soltanto una povera umanità
dolorante, ciascuna di queste umanità ha riacquistato un’individualità propria e noi
29 Steno F., L’organizzazione sanitaria, “Il Secolo XIX”, 17 novembre 1915, p. 1-2.
30 Steno F., L’organizzazione sanitaria, “II Secolo XIX”, 3 gennaio 1916, p. 1.
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