Page 56 - Le donne nel primo conflitto mondiale - Dalle linee avanzate al fronte interno: La grande guerra delle italiane - Atti 25-26 novembre 2015
P. 56

LE DONNE NEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE                                       56


          ricordava il mutismo seguito a questa rivelazione. L’esperienza diretta la esortava a rac-
          comandare alle donne di non mancare nelle file della mobilitazione soprattutto in vista
          dell’inverno che avrebbe messo a dura prova le resistenze dei soldati contro i pericoli
          del freddo. Flavia Steno invitava le donne genovesi e italiane a procurare “milioni di
          calzerotti; milioni di maglioni, milioni di paia di guanti, milioni di berrettoni” prenden-
          do come modello quello diffuso dall’Autorità militare perché, nonostante il rincaro del
          costo della lana, non vi doveva essere mano femminile fra i dieci e sessant’anni che si
          sottraesse al dovere di lavorare almeno un capo di maglia. Ogni donna doveva sentirsi
          in dovere di occupare un modesto posto di combattimento e cercare di vegliare perché
          nessuna delle sue amiche lo diserti”.
             Nei mesi a venire Flavia Steno si occupava di due diversi ambiti tra loro collegati: le
          organizzazioni sanitarie e le postazioni conquistate dagli alpini sulle pendici dei monti.
          Rispetto alle unità sanitarie si tendeva a mettere in risalto l’efficienza e la volontarietà
          delle prestazioni ospedaliere, che variavano a seconda dei mezzi a disposizione e della
          dislocazione. Avendo ottenuto il permesso dal Comando Supremo di potersi recare
          alle formazioni sanitarie al fronte, riuscì ad arrivare fino a una sezione di sanità dell’alto
          Isonzo, sotto il San Michele. In un articolo che celebrava i suoi quarant’anni di giorna-
          lismo nel 1938, la giornalista raccontava la notte in cui aveva attraversato il fiume: “Mi
          mandano a Palmanova, con una lettera per il comandante di quella zona che è incarica-
          to di farmi passare quella stessa notte sulla passerella, notte tremenda, indimenticabile
          la visione dello spettacolo che mi appare sotto la tenda della sezione sanità del casello
                                                                            27
          44, piantata sotto un’arcata del distrutto ponte della ferrovia di Gorizia” .
             La prima visita fu dedicata agli ospedaletti da campo in tende da sette metri per
          sette; i feriti di cui spesso era impossibile scorgere i lineamenti, sistemati in modeste
          brande, dimostravano spesso di avere ancora una sensibilità vitale, una resistenza
          per opporsi allo strazio. In questa occasione la giornalista rimase colpita dal qua-
          druplice ruolo assunto dal cappellano militare, sia nei confronti di coloro che lo
          vedevano come un prete, sia verso coloro che riponevano una fiducia come amico,
          come messaggero di Dio, spesso come tramite della famiglia lontana, e infine come
          rappresentante della patria. La solidarietà di cui si faceva portavoce risaltava nell’”o-
          pera multiforme e complessa” che svolgeva quotidianamente tra questi soldati che
          soffrivano e facevano soffrire soprattutto per il loro stato di “impotenza” , il primo
                                                                               28
          effetto procurato dalla guerra.

          27  Steno F., Quarant’anni di giornalismo, “Il Secolo XIX”, 21-1-1938, p. 3.
          28  Steno F, L’organizzazione sanitaria, “Il Secolo XIX”, 31 ottobre 1915, p. l.







   I-sessione.indd   56                                                                 05/05/16   14:24
   51   52   53   54   55   56   57   58   59   60   61