Page 188 - Il 1918 La Vittoria e il Sacrificio - Atti 17-18 ottobre 2018
P. 188
188 il 1918. la Vittoria e il Sacrificio
verificarsi. Si poteva solo predisporre e curare argini solidi per limitarne le conse-
guenze, argini costeggiati da lunghe file di alberi le cui radici dovevano rinforzare
il terrapieno e che era vietato nel modo più assoluto tagliare, come sapeva chi abi-
tava lungo fiumi e come è crudamente raccontato nel film l’Albero degli zoccoli.
Il generale
Ci si è dilungati così tanto sui fiumi, sulla loro volubilità e sui pericoli che
comporta il loro attraversamento perché senza tener presente questo elemento
non si capiscono le Battaglie del Piave, e non si capiscono le azioni e le esitazio-
ni di quanti ebbero la responsabilità degli eventi che sul Piave avvennero fra il
novembre 1917 e il novembre 1918.
Fra i protagonisti di quei dodici mesi decisivi per la storia del mondo, Ar-
mando Diaz è probabilmente quello studiato meno. Aureolato prima come Padre
della Patria e condottiero infallibile, elevato dal fascismo alla carica di Ministro
della Guerra, fu poi velocemente collocato in una sorta di museo delle glorie
patrie, rispettato ma sempre più dimenticato e in secondo piano, rispetto ai nuovi
condottieri che il regime aveva scelto per le proprie immancabili vittorie.
In questa iconografia dorata ma dai contorni molto distanti e vaghi Diaz rima-
se per decenni anche dopo la sua morte, avvenuta nel 1928, dieci anni esatti dopo
la fine della guerra e quasi contemporaneamente agli altri due grandi vecchi
Luigi Cadorna e Giovanni Giolitti.
Per lungo tempo Diaz rimase nell’immaginario collettivo il generale simbolo
della Vittoria, la cui immagine era legata soprattutto al famoso Bollettino della
Vittoria, che per altro poco lo rappresentava. Messa in ombra la sua partecipazio-
ne al primo Governo Mussolini, di Diaz si ricordavano il trattamento benevolo
dei soldati, lo stile umano e informale, la bonomia partenopea. La sua azione di
comando come Capo di Stato Maggiore dell’Esercito era però quasi del tutto
ignorata, secondo l’idea diffusa anche negli ambienti militari che essa fosse sta-
ta in realtà svolta dai suoi collaboratori, Caviglia, Giardino, Badoglio, ai quali
dunque erano da far risalire i veri meriti della vittoria, e che del resto se li erano
attribuiti, contestandoseli a vicenda, nelle proprie memorie.
Tale stato di cose durò fino agli anni ’60, quando la nuova storiografia italia-
na, assai più critica sui fatti della grande Guerra, scosse duramente il piedistallo
di Armando Diaz, assieme a quello di tutti i protagonisti dell’epoca. Ne uscì il
ritratto, ancora oggi prevalente, di un uomo di modesto ingegno, bonario e ragio-
nevole forse ma privo di vere qualità, la cui principale dote fu di essere al posto
giusto e di non aver commesso grossi errori.
La stessa difesa sul Piave venne in larga parte accreditata all’intervento del-
le truppe anglo-francesi, secondo una versione dei fatti ancora oggi prevalente
nella storiografia militare straniera, e la vittoria del 1918 fu sminuita al livello
di una non-battaglia, contro un esercito in piena dissoluzione e già arreso. An-

