Page 61 - Il 1918 La Vittoria e il Sacrificio - Atti 17-18 ottobre 2018
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             curata dal Gen. Kerchnawe , non costituisce un rifiuto, tanto pervicace quanto
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             inane, di riconoscere nell’Italia e negli italiani il compimento delle aspettative
             territoriali risorgimentali. Essa si configura piuttosto come il tentativo disperato
             e cosciente di conservare un nucleo di certezze e valori su cui costruire il futuro
             anche del piccolo stato nazionale chiamato a sostituire l’Impero degli Asburgo
             in un’Europa orientale che vedrà aleggiare ancora a lungo lo spettro della guerra
             dopo l’armistizio del 4 novembre 1918.  A suo modo, e seguendo una parabola
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             opposta a quella degli ammutinamenti, anche il sacrificio dei carinziani del 7° è
             una prova della completa dissoluzione del legame che univa l’esercito k.u.k. alla
             figura e al ruolo dell’imperatore.
                Una battaglia comunque venne condotta, secondo un piano e degli accorgi-
             menti tattici, e sulla scorta di una serie di ragioni complesse e non tutte facili da
             individuare e decodificare. E ciò tanto sul piano politico e strategico, quanto su
             quello squisitamente militare.
                Innanzitutto la battaglia con cui si concluse la guerra sul fronte italiano, dal
             punto di vista del comando supremo imperial-regio, non avrebbe nemmeno do-
             vuto essere affrontata. Con l’esito infausto dell’offensiva di mezza estate l’eser-
             cito austro-ungarico aveva toccato un livello di perdite, oltre 120.000, unità mai
             raggiunto in precedenza e che aveva suscitato vivaci reazioni tanto a Vienna,
             quanto se non soprattutto a Budapest. Le sue grandi unità erano organicamente
             ridotte allo stremo, incapaci di colmare i vuoti con gli ultimi complementi, de-
             cimate dalle epidemie (di malaria ed influenza), esposte al continuo salasso dei
             disertori verso l’interno, visto che Carlo si era rifiutato, per comprensibili ragioni
             politiche, di vietare completamente le licenze. Ben poche Divisioni superavano
             la metà degli 11.567 uomini previsti nel loro organico. Quando il 10 ottobre
             i capi di S.M. delle diverse Armate si erano riuniti per discutere la possibili-
             tà di sgomberare l’Italia settentrionale prima della paventata offensiva nemica,
             quest’ultima venne respinta per la sola buona ragione che non ritenevano di es-


             6   Kerchnawe Hugo (hrsg), In Felde unbesiegt. “Ősterreich”, J.F.Lehmanns Verlag, München
                 1923 tanto più significativa in quanto lo stesso curatore aveva previsto in un libro dell’ante-
                 guerra (Unser letzer Kampf. Das Vermächtnis eines alten kaiserlichen Soldaten, C.W. Stern
                 Verlag, Wien und Leipzig 1907) che un qualsiasi conflitto di grandi dimensioni avrebbe com-
                 portato la fine dell’Impero degli asburgo.
             7   Non concordo quindi pienamente con questo affermato da John Richard Schindler nella sua
                 tesi a Hopeless Struggle: The austro-Hungarian army and Total War, 1914-1918, Mac Mas-
                 ter University, a.a. 1995 (Supervisor: J.p.Campbell), pp. 269-270: “The army’s high level
                 leadership was often poor, the Dual Monarchy failed to supply its troops properly, and there
                 was little hope of ultimate victory. Yet the common soldiers of the multinational army en-
                 dured, fighting for their Emperor-King and the honour of their regiments.” alla fine l’onore
                 del reggimento era diventata la ragione largamente predominante, se non esclusiva, come
                 avrebbe dimostrato nel dopoguerra l’autentico culto delle memorie del corpo da parte delle
                 associazioni dei reduci (14°, 27°, 47°, 59° Reggimento per non citare che i più noti).
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