Page 134 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
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alfonso manzo
linea di principio e di massima, io ritengo, anche per il rispetto che ho per l’eletto del
popolo, che non debba essere ammesso come dato di fatto certo e, soprattutto, come
dato di fatto attuale, che il politico possa essere condizionato dal mafioso.
Sul finire dell’audizione, il Presidente della Commissione Parlamentare, molto argutamen-
te, pone sul tavolo una questione che è tuttora di stringente attualità, ancora in buona parte
irrisolta se non, addirittura, ulteriormente incancrenita. Egli affronta cioè il tema della
prolungata permanenza dei funzionari pubblici, spesso impiegati nei loro stessi luoghi di
origine, i quali in un contesto in cui la mafia cerca protezione nella vita pubblica potrebbero
essere condizionati nella loro attività amministrativa, chiedendo un parere circa la necessità
di procedere a un avvicendamento periodico negli incarichi. A tale esplicita richiesta, il
Gen. dalla Chiesa non si sottrae alla spinosità dell’argomento e replica:
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Onorevole Presidente, mi consenta di attingere dal metro usato nell’Arma: il nostro metro
va nella direzione da Lei indicata e, indipendentemente dalla volontà o dalla debolezza dei
singoli, noi avvicendiamo sovente. Io stesso ho facoltà di muovere, nell’ambito delle quattro
province, i miei sottoposti; e, se soltanto avverto un qualcosa che abbia un sapore non di
adattamento, ma di minor distacco, io sono il primo ad intervenire. Se questi avvicendamenti
nelle quattro province non sono sufficienti, è chiaro che le Autorità gerarchiche che ho alle
spalle trasferiscono immediatamente nel continente. Questa misura ci mette nella condizio-
ne di sostenere che non abbiamo paura di nessuno, che nessuna perplessità guida il nostro
procedere, che non ci fermiamo di fronte a chicchessia. Ed è questa la forza, Onorevole Presi-
dente, della quale meno vanto per i miei collaboratori e per i miei uomini più modesti. Come
uomini possono anche sbagliare, come uomini possono anche dare interpretazioni meno
precise e meno ortodosse, ma come dipendenti dello Stato, come rappresentanti dell’Arma,
io sono qui in condizione, non di difenderli, ma di sostenerli nella loro opera quotidiana;
e le assicuro che, un po’ perché tutta la scala gerarchica è orientata in questo senso, un po’
per la bontà della merce, non c’è nessuno che si lasci influenzare; proprio perché la parola
avvicendamento esiste.
Nel chiudere l’audizione, il Presidente Cattanei ringrazia il Col. dalla Chiesa per le
dichiarazioni rese e, soprattutto per il coraggio della sua opera svolta sui territori delle
province di Palermo, Trapani, Agrigento e Caltanissetta, esprimendogli la solidarietà
della Commissione parlamentare e dell’intero Parlamento.
3. L’INGIUSTIZIA CHE ASSOLVE
La fine degli anni Sessanta registrerà, dopo l’esito sfavorevole dei processi di Catanza-
ro (1968) e Bari (1969), una rinnovata recrudescenza della violenza mafiosa. Tale
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12 Il processo incentrato sulla prima guerra di mafia, tenutosi a Catanzaro e conclusosi il 22
dicembre 1968, nella cui cornice erano imputati 114 uomini d’onore delle cosche della città di
Palermo, diede risultati sconcertanti: vennero assolti quasi tutti i mafiosi alla sbarra, ad eccezione
di Angelo La Barbera, Pietro Torretta, Salvatore Greco e Tommaso Buscetta. Dalle motivazioni
della sentenza emerge chiaramente come la mafia palermitana non sia stata affatto inquadrata
come un’associazione organica, gerarchica e centralizzata, bensì come un complesso di fatti
e individualità tra loro indipendenti e dunque non inseribili all’interno dello stesso contesto a
livello giuridico.
13 Nel 1969, a Bari, si celebrò un processo che vide imputati per associazione a delinquere ed
omicidio 64 soggetti, tutti del clan di Corleone. Il Pubblico Ministero chiese condanne a tre er-
gastoli e oltre 300 anni di detenzione, ma, proprio nel corso della mattinata dell’ultima udienza
dibattimentale, da Palermo arrivò una lettera anonima indirizzata al Presidente della prima