Page 138 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
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alfonso manzo
che è tutta particolare. Essi avvertono che da processi come quello di Catanzaro, o come
quello di Bari, di Lecce o di altre sedi, vengono assolti dall’imputazione (che può essere so-
prattutto non chiara fuori dalla Sicilia, qual è quella dell’associazione per delinquere) e che,
poi, ritornando, non ci trovano pronti a riceverli come converrebbe, perché non siamo in
condizioni di affrontare un’indagine con una procedura che ci assista. Siamo senza unghie,
ecco; francamente, di fronte a personaggi di questo stampo, mentre nell’indagine normale,
nella delinquenza comune, possiamo far fronte e abbiamo ottenuto anche dei risultati di
rilievo, nei confronti del mafioso in quanto tale, in quanto inquadrato in tutto un contesto
particolare, è difficile per noi raggiungere le prove; ciò, non ci è dato se non attraverso l’indizio,
che può diventare grave, può diventare gravissimo, può avere un valore determinante anche
nel giudizio discrezionale del magistrato, ma non la prova, perché essa viene a mancare.
Questo è il punto dove noi ci fermiamo, malgrado gli sforzi. Ecco perché, per esempio, per
134 determinate indagini che non ci vedono alla ribalta degli organi d’informazione, non si deve
pensare che in esse non siamo attori.
In queste affermazioni, il Col. dalla Chiesa sembra affermare che il «vantaggio psi-
cologico ambientale» acquisito nei primi due anni del suo mandato di Comandante
Chiesa, Comandante della Divisione «Pastrengo», declamerà, tra le tante, una frase, da cui prende il
titolo questo capitolo, citando la famosa frase «l’ingiustizia che lo assolve». La prolusione, dopo aver
richiamato i valori della tradizione, una tradizione intrisa di valore risorgimentale, entra nel vivo della
situazione della sicurezza pubblica che attanaglia il Paese da alcuni anni e che, ancora in quei mesi,
tormentava le istituzioni dello Stato: «[…] Ma là dove la realtà incalza giorno dopo giorno per dirci
della sua brutalità, anche la più nobile delle tradizioni apparirebbe oggi quale stinta oleografia, su
cui la patina della sufficienza potrebbe aggiungersi a mortificare i credenti. E le genti, nell’inquieto
succedersi degli eventi, pretendono con l’ansia di chi crede, di chi vuol comunque credere che – al
di là delle nostre pur belle tradizioni – sulle strade, sulle piazze, nelle valli continui a vivere, a vibrare
a respirare solo la storia; perché la storia non mente; senza fiabe, senza leggende, senza miti, senza
retorica; con la forza concreta ed esclusiva delle sue verità». Il Gen. dalla Chiesa prosegue eviden-
ziando i tre Carabinieri che sorreggono, durante il terremoto di Messina, una parete che rischia di
crollare, scolpito nel basamento del Monumento al Carabiniere di Torino, utilizzando un’immagine
che metaforicamente richiama il rischio di cedimento dello Stato sotto i colpi del terrorismo. «Con
queste verità, che rappresentano il vostro patrimonio più nobile e più sano, voi sapete combattere
a viso aperto e senza consentire ad alcuno di alludere a massacri o a suicidi:
Giacché non si possono concedere giudizi a chi vi aggredisce con l’arma della viltà, a chi si esalta
nel sangue dell’inerme, a chi si accanisce nella dissacrazione dei valori dello spirito, dell’uomo
e dello Stato».
Con questo passaggio, il Gen. dalla Chiesa intende lanciare un chiaro messaggio di orgogliosa
protezione ai Carabinieri schiarati sulla piazza d’armi e, con essi, a tutti i militi dell’Italia setten-
trionale, impegnati in prima fila contro la barbarie terroristica, sin dal suo insorgere. «Ricordatevi,
cioè, solo e sempre che la moltitudine vi ama, vi vuole, vi sente; […] ricordate che i vostri sacrifici,
le vostre rinunzie, le vostre amarezze contribuiscono al civile convivere, alla sopravvivenza della
fede, alla salvezza delle Istituzioni. Se è anche vero che l’oggi pretende luci e ribalte, miti e prosceni;
se molti, troppi amano ed ambiscono ruoli e livelli, voi ricordate che il popolo buono preferisce,
invece, scorgere nel buio di una tempesta, il conforto di un piccolo faro di periferia, anche ignoto,
di un faro alla cui intermittenza, come se un cuore battesse, chi naviga ed è flagellato dai flutti si
affida con la tranquillità, con la convinzione, con la certezza di ottenere aiuto e difesa». Infine, il
passaggio richiamato all’inizio della nota gli costò una denuncia penale da parte di un legale dei
terroristi, conclusasi con il proscioglimento, oltre che interpellanze parlamentari e un can can me-
diatico a tratti feroce: «Su tutti, ancora, è la forza di resistere, è la gioia del donare senza chiedere,
è la rinunzia per tutta la vita agli affetti più cari, perché il cittadino possa avvertire nella nostra
Arma, il mormorio lontano di un Piave, attraverso le cui acque – anche se spesso arrossate – non
passeranno né la follia, né la prepotenza, né il terrorismo, né l’ingiustizia che lo assolve. Per tutti
e su tutti, infine, è la certezza di mantenere inalterato lo smalto della lealtà verso lo Stato e le sue
Istituzioni, per divenire più degni di chi ci conforta, di chi ci stima, delle nostre genti, ma anche di
quel passato, di quella storia, di quelle verità, e perché no? Di quelle tradizioni di cui – come ieri
sera ha detto il nostro Comandante Generale – siamo tanto fieri, e che tanti stranieri ci invidiano!».