Page 57 - Carte Segrete dell'Intelligence Italiana il S.I.M. in archivi stranieri
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rapidamente il temperamento del prigioniero, la sua attendibilità, le sue cono-
scenze, in modo da abbandonare eventuali elementi privi di utilità e sfruttare
da subito solo chi poteva dare buoni risultati. Ad avviso del generale, era bene
che gli interrogatori avvenissero in salette modeste e che soprattutto non vi
assistesse alcun altro, almeno agli inizi; poi potevano essere ammessi, se ne-
cessario, i Capi Ufficio Informazioni divisionali, se si trattava di approfondire
questioni riguardanti il fronte della Divisione; il Capo della Sottosezione arti-
glieria dell’Ufficio Informazioni di Armata, per quanto concerneva questioni
specialistiche e così per il Capo della Sottosezione aeronautica; normalmente
doveva essere trattato un argomento alla volta e approfonditamente, prima di
passare ad un altro.
L’esperienza della passata guerra aveva dimostrato, infatti, affinché l’inter-
rogatorio fosse ben eseguito e desse buoni risultati, che era necessario che la suc-
cessione degli argomenti da trattare fosse ordinatamente concatenata. Si doveva 40 Sottolineato nel te-
40
iniziare con la richiesta di notizie sulle vicende personali del prigioniero. Questo sto originale.
passaggio serviva a sciogliergli la lingua anche perché, invitato a fornire racconti
sulla sua vita di combattente, poteva senza accorgersene già fornire significa-
tive indicazioni sulla vita dei reparti nemici, sulla loro istruzione e disciplina,
sull’inquadramento e lo spirito combattivo, sulla vita che si svolgeva nel paese
sede del reparto. Bisognava però lasciar parlare il prigioniero senza domande
precise e perentorie in questa fase, affinché potesse esprimersi senza sentirsi
oppresso. Dall’argomento autobiografico si poteva passare a domande che ten-
devano alla conoscenza di quello che interessa, e cioè, se non già fornite, le notizie
sul reparto di provenienza, fatti d’arme ai quali il prigioniero aveva preso par-
te, turni di riposo concessi e soprattutto dislocazione sul terreno anche sotto-
ponendogli delle mappe che all’interprete non dovevano mai mancare.
Si poteva quindi proseguire con domande riguardanti le armi, la situazio-
ne nelle retrovie, l’organizzazione dei comandi di tappa e dei magazzini di
rifornimento, cercando di sapere anche dove le truppe potevano concedersi
momenti di riposo e dove erano tenute le riserve, per poter poi chiedere infor-
mazioni sulle sedi dei comandi.
Era necessario anche conoscere le intenzioni del nemico: una domanda dif-
ficile ma da porre comunque, perché l’esperienza aveva insegnato che nel caso
di operazioni in preparazione quasi tutti i prigionieri, anche i meno intelligenti,
sanno dare notizie meravigliosamente precise….
Se l’ufficiale interprete era ben orientato sulla situazione nemica, e su tutto
quello di cui era a conoscenza l’Ufficio Informazioni del Comando di Arma-
ta, disponeva di un mezzo potentissimo per riuscire a indirizzare il prigioniero
nelle sue risposte e arrivare a sapere quanto d’interesse. L’interprete doveva
inoltre astenersi dal far domande che avevano già una implicita risposta per-
ché era troppo facile far dire al prigioniero ciò che si voleva ascoltare e che non
corrispondeva alla realtà.
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