Page 157 - L'Italia in Guerra. Il primo anno 1940 - Cinquant'anni dopo l'entrata dell'Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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In secondo luogo, perché l'onore dell'Italia fascista imponeva di tenere fede
agli impegni presi verso l'alleato. A differenza di gran parte dei suoi più stretti colla-
boratori - Ciano in testa - Mussolini sembrava assegnare scarsa importanza alle
violazioni dell'alleanza effettuate dal Governo di Berlino che, senza previa consulta-
zione, aveva deciso l'attacco alla Polonia e concluso il patto di non aggressione con
l'Unione Sovietica. Pesava invece, e terribilmente, su di lui il precedente del1915,
quando l'Italia aveva finito con lo schierarsi contro i suoi alleati della Triplice. Era
come un iricubo. Bastava che da qualche parte, anche la meno qualificata, si accen-
nasse alla possibilità che l'Italia ripetesse quel voltafaccia perché Mussolini, come
reazione, arrivasse persino a considerare un intervento immediato a fianco della
Germania pur di spazzar via qualunque sospetto del genere.
In terzo luogo, perché, se la Germania avesse vinto da sola la guerra contro ·
le Democrazie, l'Italia avrebbe pagato duramente la sua neutralità. Questo aspetto
va forse considerato il più rilevante fra tutti quelli che spingevano Mussolini all'in-
tervento. La paura della Germania non era un fatto recente. Senza risalire più indie-
tro nel tempo, si era manifestato in Mussolini fin dal momento in cui Hitler era arri-
vato al pqtere, quando molti - o quasi tutti - pensavano ancora che la crescita
del nazionalsocialismo fosse un fenomeno passeggero legato ai contraccolpi della
grande crisi economica e che comunque Hitler non avesse né la forza né la seria
intenzione di realizzare il programma che aveva enunciato. Le successive manifesta-
zioni della potenza tedesca avevano accresciuto di molto i timori iniziali ed ora non
sembrava esserci alternativa ad una .linea di piena solidarietà con un alleato che, una
volta vincitore, avrebbe dominato l'Europa e imposto a tutti una ferrea collabo-
razione.
Infine, era inevitabile che nel prendere le sue decisioni Mussolini tenesse an-
che conto delle conseguenze che una sconfitta della Germania avrebbe avuto sulle
sorti del Regime fascista. C'era infatti da dubitare che in quell'ipotesi, il Regime
potesse sopravvivere ma, se anche fosse riuscito a superare la prova, era praticamen-
te certo che Mussolini sarebbe stato obbligato a lasciare il potere. È questo, a mio
parere, un punto di grande importanza: a determinare una decisione non era soltan-
to l'ottica fascista, ma anche gli interessi del Regime e quelli personali del Duce.
Naturalmente tutto ciò pressupponeva la convinzione che la Germania sarebbe
uscita vincitrice dal conflitto, una convinzione che peraltro si era radicata da tempo
in Mussolini, specie dopo il suo viaggio in Germania del settembre 1937. Quel viag-
gio aveva lasciato in lui un'impressione incancellabile. Lo spettacolo di forza che gli
aveva dato la Germania nazista lo aveva colpito tanto più in quanto, non avendo
l'abitudine di viaggiare all'estero, gli mancava il confronto con altri Paesi e con il
mondo anglosassone in primo luogo. A ciò faceva riscontro la convinzione che le
Democrazie fossero in preda ad una decadenza inarrestabile, inferiori militarmente
ma soprattutto deboli sul piano morale. Se nella prima guerra mondiale era stato
il fronte interno tedesco a cedere, coinvolgendo nella sconfitta un esercito non anco-
ra vinto sui campi di battaglia, ora - Mussolini ne era convinto - il popolo tede-
sco avrebbe combattuto fino in fondo e a crollare sarebbero state le corrotte demo-
crazie. Da ciò, anche l'elementare considerazione, rozza quanto si vuole ma persuasi-
va, che, nonostante i pericoli derivanti da una vittoria tedesca, meritava pur sempre
stare al tavolo della pace dalla parte del vincitore.
Considerati dal punto di vista di Mussolini, i motivi che spingevano verso l'in-
tervento al fianco dell'alleato tedesco erano dunque di tutto rilievo. Eppure non
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