Page 243 - L'Italia in Guerra. Il primo anno 1940 - Cinquant'anni dopo l'entrata dell'Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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scriventi). Sono attualmente in corso degli accordi fra gli Stati Maggiori del-
la R. M. e della R.A. per realizzare collegamenti diretti in telefonia e in tele-
scriventi fra ogni C. G. U.A. e il comspondente Comando ftfarittimo».
Di fronte a questo persistente immobilismo su problemi vitali, si deve constata-
re che, a quanto risulta, nessuno degli Stati Maggiori delle tre Forze Armate assume
concrete iniziative e formula un complesso organico di proposte per rendere possibi-
le un proficuo e coordinato impiego delle forze aeree in concorso con le forze di
superficie; Ciò danneggia soprattutto l~ronautica, perché un impiego «contro for-
ze» senza conoscenza reciproca e adeguata preparazione non può che causare quegli
inconvenienti che l~ronautica ha sempre temuto, cioè !'«asservimento» alle forze
di superficie e la tendenza a chiedere al vettore aereo ciò che esso non può dare
o a logorar lo prematuramente. In tal modo, ali 'encomiabile sacrificio di piloti e aerei
a favore delle forze di superficie preannunciato da Pricolo nel citato discorso del
1940 e effettivamente avvenuto, non corrispondono risultati adeguati.
Conclusione
Il primo anno di guerra riassume in sé, non solo dal punto di vista della strate-
gia aerea, i caratteri e gli ammaestramenti dell'intero conflitto. Nonostante i tentavi
di Cavallero e qualche sporadico episodio favorevole, non si riesce mai infatti a
coordinare bene le strategie italiana e tedesca e, nel campo italiano, a coordinare
bene la strategia operativa e la conseguente filosofia della produzione di armamenti
delle tre Forze Armate.
Nella guerra mediterranea e nel rendimento del dispositivo aeronavale, il fatto-
re che pesa di più non è la pur sentita mancanza di portaerei (55), ma la mancanza
di una reale cooperazione e di criteri d'impiego unitari e idonei a condurre la guerra
dei convogli, sfruttando di conseguenza al meglio le poche forze aeree e utilizzando,
per tutto quello che poteva dare (e non era poco), l'ottimo sistema di basi delle quali
disponeva la nostra Aeronautica nel Mediterraneo, in Libia, Sicilia e Sardegna, Ita-
lia meridionale, Grecia e Egeo. Sotto questo aspetto, fatti salvi i princìpi di unità
e autonomia delle forze aeree e della priorità generale da assegnare a interventi nel
campo strategico, si deve riflettere sul vantaggio decisivo che avrebbe rappresentan-
to in alcune fasi critiche del conflitto - a cominciare dai primi mesi - la disponi-
bilità di una strategia autenticamente interforze di 150-200 aerosiluranti e aerei da
appoggio tattico (questi ultimi, in mancanza di macchine nazionali, furono poi fret-
tolosf!mente richiesti, già a fine 1940, alla Germania).
E questo l'aspetto essenziale della problematica d'impiego del mezzo aereo da
parte italiana. Un breve sguardo a quanto avviene negli anni Trenta e durante la
guerra, infatti, consente di stabilire che l'attribuzione di un ruolo decisivo all'impie-
go strategico «contro città» era molto diffusa anche in altre nazioni, e che i contrasti
tra l~ronautica (che tende sempre a essere indipendente) e le altre Forzè Armate
sono da lungo tempo vicenda comune all'apparato militare di tutti i Paesi. Questi
(55) Dal maggio 1941 in poi, ad eccezione delle brevi incursioni nel Mediterraneo della «forza H•
l'Inghilterra non ha più mantenuto portaerei nel Mediterraneo, (cfr, A. Santoni, Da Lissa alle
Falkland, Milano, Mursia, 1987, p. 192).
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