Page 119 - L'Italia in Guerra. Il secondo anno 1941 - Cinquant'anni dopo l'entrata dell'Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
P. 119

tralasciando ogni scappatoia retorica e sentimentalistica e occorre non na-
             scondersi  dietro la  diserzione  dei  "mercenari neri".  Se  questo  punto di
             vista poteva essere,  allora e dopo, quello della propaganda mussoliniana
             e fascista  mi pare sia venuta l'ora di non indulgervi più proprio perché
             la storia di quegli eventi fu  molto diversa,  come sempre più abbondanti
             documentazioni  e testimonianze  non  cessano  di  rivelare.
                  Il duca Amedeo fa un'analisi delle truppe indigene accurata, ma nel-
             la sua riflessione aggiuntiva non condivisibile, perché etichettando l'indi-
             geno come mercenario (quale suo attributo generale) fa  un'affermazione
             arbitraria e generica, in buona parte contraddittoria con quanto ha affer-
             mato prima. Essa sembra essere piuttosto frutto dello stato d'animo ama-
             reggiato  ed asacerbato di  un comandante in capo  che si  accorge  di non
             poter fare affidamento sulla maggioranza del suo esercito. Una condizio-
             ne certamente triste e miserevole, ma, dopo quanto da lui scritto sulle truppe
             nazionali e sugli ufficiali, per non parlare di quanto dirà di alcuni coman-
             danti di scacchiere come Gazzera, è illogico e irreale ricorrere alla catego-
             ria  dell'indigeno  mercenario.  Il viceré Amedeo  così  si  esprime:  "Come  è
             noto  i quattro  quinti delle  nostre forze  sono  costituiti dagli  indigeni  che  hanno  un
             proprio temperamento e una propria psicologia.  Noi dobbiamo difenderci e queste truppe
             sono buone essenzialmente per attaccare, vedendo istintivamente nella difesa una prova
             di  inferiorità  e debolezza.

                  Quando si tratta di agire offensivamente,  cioè andare al di là del proprio ter-
             ritorio,  seguono entusiasti.  Quando sia pure per sole ragioni di manovra bisogna ve-
             nire  indietro,  si  demoralizzano.  Quando poi si  deve  sgombrare  il territorio  in  cui
             furono  reclutati ci abbandonano perché credono che se ci seguissero le loro case sareb-
             bero distrutte e le loro famiglie massacrate; nelle regioni in cui agiscono i ribelli san-
             no che per salvare la loro  vita devono  non solo resistere per noi ma combattere contro
             di  noi.  Perciò  molte  volte  ci  troviamo  di fronte  a questo  tragico  dilemma;  restare
             in  loco  e perdere unità che,  circondate,  sarebbero  condannate alla resa  se  non  altro
             per fame;  venire via e non solo sacrificare buona parte delle nostre forze,  ma vedere
             aumentate quelle avversarie per il passaggio al nemico di chi era con esse.  Aggiunga-
             si che l'indigeno, che in fondo è un mercenario,  segue di solito il più forte per orgoglio
             e per interesse ed in questo momento solo i più ingenui credono alla nostra superiorità
             sugli inglesi.  Anche sotto questo punto di vista la situazione è grave;  avrebbe potuto
             esserlo  anche di più.  Sta  di fatto  che in queste condizioni viene a mancare la  base
             principale  di  computo per  decidere  l'impiego  delle forze'' <3 2>.



             (32)  In A.  Rovighi,  cit.  vol.  II,  p.  336.


                                                                                117
   114   115   116   117   118   119   120   121   122   123   124