Page 421 - L'Italia in Guerra. Il sesto anno 1945 - L’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi. (1945-1995)
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LA RICOSTRUZIONE DELLA DIPLOMAZIA 413
invece mancarono di trarre queste conclusioni e di conseguenza non for-
nirono quelle informazioni sulla situazione che, data la forza politica del
loro mandato, avrebbero potuto avere un'influenza maggiore di quella che
poteva avere un tecnico come Quaroni. Tarchiani si dava un gran da fare,
pensava iniziative inutili, come ad esempio quella della dichiarazione di
guerra al Giappone, creava illusioni, o speranze, sulle frasi gentili ma va-
ghe che otteneva nei suoi colloqui con i dirigenti americani, ma poi dove-
va registrare disappunto e amarezza. Carandini non riusciva a registrare
con gli inglesi nemmeno le buone frasi, e nell'unico caso in cui avrebbe
dovuto fornire una informazione precisa, quello della frontiera del Bren-
nero avviato a soluzione certamente favorevole all'Italia, si fece prendere
dal panico e spinse, o è più preciso dire coinvolse, De Gasperi a negoziare
con l'Austria quell'accordo che di certo De Gasperi voleva concludere ma
su materia diversa, non sull'autonomia per la minoranza sudtirolese, che
pure voleva assicurare ma quale effetto della legislazione italiana garanti-
ta dalla Costituzione e quindi al di fuori di un legame contrattuale con
l'Austria. Saragat coltivò la speranza di ridurre le rivendicazioni francesi
ma lasciò poi a mezz'opera l'impresa. A tutti va però riconosciuto il gran-
de impegno, la buona volontà e il sincero desiderio di servire il paese.
Questo riconoscimento va esteso anche a Eugenio Reale, che stava a Var-
savia; solo che lui, per deformazione ideologica, non aveva ben chiaro quale
fosse il suo paese.
Passando dalla periferia al centro, si incontra predominante la figu-
ra di Renato Prunas che, da segretario generale, sarebbe stato l'autore,
fino all'inizio della Conferenza della pace, della politica estera italiana, e
segue nota
la nostra difesa al tavolo della pace, secondo la nostra antica tradizione, a mezzo
di abili impostazioni giuridiche. Partendo dalla modesta base della dichiarazione di
cobelligeranza, noi abbiamo cercato abilmente di creare la figura giuridica del cobel·
ligerante, nella speranza di arrivare alla conclusione finale che cobelligerante era co·
sa poco diversa da alleato, e come tale non poteva essere oggetto di un Diktat. Fin
che c'era la guerra, fino a che c'era qualche utilità da trar fuori dal popolo italiano,
i nostri alleati, senza mai dirci precisamente che accettavano il nostro punto di vista,
si sono adoperati a !asciarci delle speranze. Dal giorno in cui la guerra è finita, e
noi non serviamo più a niente, per quanto concerne l'Italia il cobelligerante scom-
parso e resta l'ex nemico. È, secondo me, quindi inutile cercare di ricostruire l'edifi-
cio, di continuare ad appellarsi a carte atlantiche, ad ideali, a principi. Quello che
conta oggi ( ... ) è più o meno quello che ha contato sempre, la forza materiale, la
forza bruta: noi non ne abbiamo e quindi non contiamo niente" (l Documenti Diplo-
matici Italiani, serie decima, vol. III, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato-
Libreria dello Stato, 1993, p. 75-76).
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