Page 423 - L'Italia in Guerra. Il sesto anno 1945 - L’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi. (1945-1995)
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LA  RICOSTRUZIONE  DELLA  DIPLOMAZIA                              415


               come non mi pare fondato per il primo dopoguerra il mito Contarini, cui
               gran  parte  della  diplomazia  del  tempo  fascista  cercò  di  riferirsi.

                    La politica tendente a far divenire l'Italia alleata delle Nazioni Unite
               non fu mutata dopo l'uscita di Badoglio dalla scena politica con la forma-
               zione del governo Bonomi nel giugno del  1944. Prese solo forma diversa:
               da un lato si sottolineò che il nuovo governo era tutto composto da antifa-
               scisti e che non desiderava altro che l'Italia democratica combattesse con-
               tro la Germania nazista; dall'altro si fece scivolare la richiesta dello status
               di paese alleato nei progetti di revisione dello strumento di resa o in quelli
               per una pace provvisoria. Anche questa variazione sul medesimo tema non
               produsse  risultato  alcuno.
                    La  dura  realtà di  un trattato  di  pace tra un'Italia  paese  sconfitto e
               le  Nazioni Unite vincitrici si  impose finalmente  al governo della Libera-
               zione,  costituito  da  Parri  nel  giugno  1945,  come  un  dato  di  fatto  ine-
               ludibile. La vicenda di Trieste- occupazione jugoslava, ultimatum anglo-
               americano,  accordo  di  Duino  che  definiva  la  linea  Morgan  - accaduta
               proprio alla vigilia della costituzione del nuovo ministero, avrebbe dovu-
               to insegnare qualcosa, ossia che solo una precisa scelta tra i vincitori avrebbe
               potuto dare la speranza d'ottenere qualche favore  nel trattato di pace, in
               un mondo che cominciava a dividersi.  Ma la  circostanza non fu  percepi-
               ta,  né  la  diplomazia  aiutò  a  percepirla.  Anche  però  se  lo  fosse  stata,  la
               natura composita del governo,  con  partiti che trovavano i loro punti di
               riferimento in entrambi gli incipienti schieramenti, avrebbe reso impossi-
               bile  una  scelta.  Dalle  discussioni,  in  verità  non  accese,  in  Consiglio  dei
               ministri venne la decisione di fondare la  nuova politica da seguire sul co-
               mune patrimonio dell'antifascismo concretamente manifestato nella lotta
               di liberazione a  fianco  delle  Nazioni Unite per  puntare ad ottenere una
               "pace giusta", ossia che riportasse l'Italia alle  condizioni del  1922 salvo
               un arretramento del confine orientale alla linea Wilson. Naturalmente an-
               che questa politica si  rivelò  improduttiva,  nonostante l'impegno con cui
               fu perseguita da De Gasperi con la collaborazione efficace di tutte le forze
               politiche, compresi i comunisti che mostrarono qualche incertezza a con-
               durre un'azione coerente solo sul confine orientale dove l'antagonista era
               la Jugoslavia  di  Tito.
                    La via della ricostruzione della diplomazia nel duplice significato ri-
               cordato all'inizio era lunga e la situazione del paese non consentiva di per-
               correre scorciatoie.










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