Page 10 - Il Generale Giuseppe GARIBALDI
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                   gusto del tempo; imbevuti di mistico ed ingenuo cosmopolitismo; rivoluzio-
                   nari un po’ per educazione e per abitudine, un po’ per necessità di cose e, in
                   politica, accesi repubblicani, essi appartenevano per lo più alla grande fami-
                   glia della «Giovine Italia», solo da pochi anni creata dal genio dell’austero
                   apostolo dell’idea unitaria italiana, Giuseppe Mazzini.
                      E del grande Maestro essi custodivano in petto, come un sacro dovere di
                   fedeltà e d’onore, e diffondevano in giro pel mondo, il verbo sublime, invo-
                   cante ormai soltanto da Dio e dal Popolo quell’opera di liberazione e di rige-
                   nerazione della Patria, per la quale invano, fino allora, si era confidato nel
                   concorso dei principi italiani.
                      Fra gli ultimi proscritti, giunti in quel torno di tempo in America, si fece
                   ben presto notare nei quartieri popolari circostanti il porto di Rio de Janeiro
                   un singolare tipo di giovane marinaio italiano, nativo di Nizza, sbarcato in
                   Brasile sul principio del 1836, dalla nave Nautonnier, battente bandiera fran-
                   cese. Si chiamava Giuseppe Garibaldi, nome oscuro allora per tutti, tranne
                   che per la gente di mare di Nizza che ne conosceva da tempo le straordinarie
                   qualità di audacia e di maestrìa come capitano marittimo, nonché per i com-
                   ponenti il Consiglio di guerra divisionale di Genova, che due anni prima lo
                   aveva condannato a morte in contumacia, come uno dei capi della rivolta
                   scoppiata nel febbraio del ‘34 in quella città.
                      Era un bel giovanotto sulla trentina, di statura media, con larghe spalle e
                   membra vigorose, snelle e ben proporzionate. La sua fisionomia, di solito pla-
                   cidamente grave e meditativa, si apriva talvolta a un sorriso illuminato da una
                   vivace espressione di viva intelligenza e di ideale bontà. La sua voce era par-
                   ticolarmente armoniosa e vibrante allorché, in coro con i suoi compatrioti,
                   intonava l’inno della «Giovine Italia». Tutto in lui spirava pacata risolutezza e
                   serena energia; ma quando qualche intensa emozione ne turbava l’animo i
                   suoi strani occhi azzurri rivelavano l’intima eccitazione, prendendo una tinta
                   cupa come quella del mare, quando, in apparenza tranquillo, nasconde la
                   tempesta nel suo seno. Le linee del suo profilo, correttamente classico, erano
                   rigide ed austere. Portava la bella testa sempre fieramente eretta, con lunga
                   chioma bionda alla nazarena e barba intera di tinta rossiccia cui il sole dava
                   riflessi fulvi, contribuendo a dare all’insieme di quel volto una impronta leo-
                   nina. Era, in complesso, senza dubbio, un singolare campione di bellezza e di
                   forza fisica. Ma coloro che lo avvicinavano rimanevano pure subito attratti e
                   soggiogati dal potente fascino che da quel giovane emanava per la sua ancor
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