Page 246 - Il Generale Giuseppe GARIBALDI
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                      Il combattimento ebbe, tuttavia, un seguito nel giorno successivo.
                      La colonna del Perrone, che il giorno innanzi aveva battuto i battaglioni
                   Ferracini, Bronzetti e Bossi, ricevuti rinforzi dal generale Ruiz, aveva sostato
                   a Caserta Vecchia e, al mattino, aveva ripreso la marcia verso i suoi obiettivi.
                      Garibaldi, che si era fermato a S. Angelo per riposare dopo la dura giorna-
                   ta, informato nel cuore della notte della presenza di questi nemici che, evi-
                   dentemente, ignoravano la sconfìtta toccata ai borbonici il giorno preceden-
                   te, «fu più noiato del sonno interrotto, che conturbato della gravità del mes-
                   saggio». Subito diede ordini non tanto per combatterli, quanto per prenderli.
                      Fra le 4 e le 5 del 2 ottobre, i volontari, raccolti rapidamente a Caserta,
                   puntarono su S. Leucio, mentre il Bixio, lasciata buona guardia a Maddalo-
                   ni, mosse verso monte Virgo, distaccando, nel contempo, il generale Eber-
                   hardt verso Caserta Vecchia. A questa operazione parteciparono pure elemen-
                   ti del 1° reggimento fanteria Savoia e il I battaglione bersaglieri regolari, man-
                   dati il giorno innanzi da Napoli insieme con alcuni cannonieri, quando in-
                   certe parevano ancora le sorti della battaglia.
                      Allorché fu giorno, i soldati del Perrone si videro circondati da ogni parte
                   e, dopo qualche fucilata, si arresero prigionieri, meno alcune centinaia di uo-
                   mini che riuscirono a sottrarsi all’accerchiamento e poterono raggiungere il
                   campo del Re per la scafa di Limatola.
                      Come attestano le perdite (volontari di Garibaldi: 306 morti, 1328 feriti,
                   389 prigionieri e dispersi; borbonici: 308 morti, 820feriti, 2160 prigionieri e
                   dispersi) e come appare da quanto succintamente dicemmo, nella battaglia
                   del Volturno, gli avversari furono degni l’uno dell’altro per tenacia e per va-
                   lore. Ma prodigi di devozione e di ardimento si ebbero da parte dei garibal-
                   dini, che, inferiori di numero e di armamento e, soprattutto, senza alcuna se-
                   ria preparazione tattica, seppero resistere per 12 ore consecutive al martellare
                   dei nemici e infine passare al contrattacco vittorioso.
                      Episodi memorabili fra gli altri molti, vere gemme della storia d’Italia,
                   quello di Bronzetti, il quale «anziché cedere il passo a Castelmorrone a lui af-
                   fidato, tolse di morire col fiore più eletto dei suoi» e quello del colonnello
                   Dezza, ardente soldato e comandante sagace, che determinò di riprendere
                   monte Caro, quando pareva follia il pensarlo, e non si dette pace fino a quan-
                   do non ne ebbe cacciato il nemico.
                      Ma l’anima della battaglia, il cuore pulsante del suo esercito, come sempre
                   accadde in tutti i combattimenti che egli diresse, fu il Dittatore, il condottie-
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