Page 248 - Il Generale Giuseppe GARIBALDI
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                   tari, le ambizioni smodate degli ultimi giunti, l’amarezza dei vecchi, dei vete-
                   rani dinanzi alla tracotanza spavalda dei giovani, l’incertezza del domani che
                   suscitava preoccupazioni e cupidigie, contribuivano a sminuire la sua com-
                   pattezza morale.
                      Già accennammo alle gravi difficoltà di ordine politico, che afflissero il
                   Dittatore dal giorno in cui fece il suo solenne ingresso in Napoli e lo angustia-
                   rono fino al 2 di novembre, in cui avvenne la resa della fortezza di Capua. Non
                   potè Garibaldi, come molti dei suoi, pago del successo, riposare sugli allori.
                      La situazione politico-militare rimaneva grave, chè un nemico agguerrito
                   e pur sempre temibile era ancora in campo, la reazione andava guadagnando
                   terreno, mentre i patrioti, i politicanti e gli stessi collaboratori continuavano
                   le sterili polemiche di dottrina e di tendenza: chi propugnava l’immediata an-
                   nessione del Regno delle Due Sicilie al Piemonte, chi voleva la riunione di
                   una Assemblea costituente; ancora imperversavano i separatisti e coloro che
                   pretendevano, prima di ogni altra cosa, che si marciasse su Roma.
                      E mentre il Dittatore, fra tante contrarie correnti, doveva, con la sua au-
                   torità, trattenere i più accesi, disingannare gli illusi, tenere in rispetto i setta-
                   ri, appagare i postulanti e gli amici accorsi a Napoli da ogni dove, doveva ef-
                   fettuare tutte quelle provvidenze che si palesavano necessarie per costruire un
                   ordine nuovo sull’edificio secolare ch’era stato distrutto. Se quindi la sua po-
                   litica non fu scevra di errori, non si deve far colpa al grande soldato,tanto più
                   che molti degli errori stessi debbono essere imputati ai prodittatori e ai ministri.
                      Nel lasso di tempo che intercorse fra il plebiscito, col quale l’Italia meri-
                   dionale stabilì il suo destino - fu votata la formula: «II popolo vuole l’Italia e
                   indivisibile sotto lo scettro di Casa Savoia» - e l’arrivo dell’armata di Cialdini
                   nell’Abruzzo, i borbonici non dettero molti segni di attività.
                      La reazione richiese, invece, misure d’ordine militare. Poiché l’insurrezio-
                   ne del Sannio andava assumendo gravissime forme, Garibaldi decise di inviar-
                   vi una colonna di volontari al comando del Nullo. Giunto sul luogo, questi
                   constatò che la situazione era più grave di quanto non si credesse e presto ne
                   ebbe egli stesso durissima prova. Ingannato dalle informazioni di popolani,
                   che davano Isernia sgombra di borbonici, nei pressi di quella città fu improv-
                   visamente assalito da forte nerbo di regolari. Battuto, dopo breve combatti-
                   mento, lasciò molti dei suoi sul terreno, e, coi superstiti, dovette cercar scam-
                   po in una sollecita ritirata.
                      Le armi regolari del Piemonte giungevano quindi a buon punto per libe-
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