Page 250 - Il Generale Giuseppe GARIBALDI
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                   rare il Dittatore da tante cure e preoccupazioni, sebbene gli portassero anche
                   molte delusioni. Poiché, se chiudevano definitivamente la via a una temera-
                   ria impresa su Roma, venivano altresì a consolidare il grande successo del Vol-
                   turno, prima che il tempo e le contrarie vicende politiche ne annullassero i ri-
                   sultati.
                      L’armata di Cialdini, battuto il Lamoricière a Castefidardo, presa Ancona,
                   invase le Marche e l’Umbria, era penetrata nel Regno; e dopo il combatti-
                   mento del Macerone, i borbonici si erano ritirati a Caiazzo, abbandonando la
                   destra del Volturno. Allora Garibaldi passò il fiume, e lasciata la Divisione
                   Medici dinanzi a Capua, per proteggere il suo fianco contro le possibilità di
                   una sortita, si accinse a inseguire i regi verso il Garigliano. Ma da Venafro
                   scendevano, in quel punto, le avanguardie dell’esercito settentrionale. Il 26
                   ottobre a Caianello, poco lungi da Teano, il Dittatore si incontrava con Vit-
                   torio Emanuele II e, secondo il racconto di Alberto Mario, che fu testimone,
                   lo salutava «Re d’Italia».
                      Coll’arrivo dell’esercito settentrionale, cominciarono, com’era prevedibile
                   e come dicemmo, le amarezze di Garibaldi e dei suoi fidi collaboratori, poi-
                   ché la politica di Cavour andava ormai, senza infingimenti, alla mèta, senza
                   preoccuparsi troppo delle convenienze e dell’opportunità del momento.
                      La prima delusione fu il netto rifiuto di lasciare i garibaldini all’avanguar-
                   dia nell’imminente marcia verso il Garigliano sotto il pretesto ch’essi avevano
                   abbastanza combattuto. Poi fu l’incarico dato al generale Della Rocca di diri-
                   gere le operazioni per l’investimento di Capua, iniziato quattro giorni dopo,
                   sebbene 11.000 dei 17.000 uomini impiegati fossero volontari. Ma Garibal-
                   di, con quell’alto senso di disciplina di cui doveva dare così mirabile prova sei
                   anni dopo col famoso «obbedisco», seppe trarsi da parte, lasciando al Sirtori
                   il comando.
                      L’assedio di Capua fu cosa sollecita.
                      Il 31 di ottobre gli assediati tentarono una sortita di cavalleria che fu im-
                   mediatamente respinta e il 1° novembre, sotto gli occhi di Re Vittorio, salito
                   sopra un poggio nei pressi di S. Angelo, che ancora serbava i segni dell’acca-
                   nita lotta di un mese innanzi, fu iniziato il bombardamento della piazza, che
                   si protrasse fino a sera, debolmente reagendo le artiglierie nemiche.
                      Al mattino successivo, il generale De Cornè, comandante della fortezza,
                   mandava a trattare la capitolazione e, nella giornata del 3, uscite le truppe
                   borboniche con gli onori delle armi, entravano in città e ne prendevano pos-
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