Page 252 - Il Generale Giuseppe GARIBALDI
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                      Nella sala del trono, il giorno 8, consegnò nelle mani del Re i poteri dit-
                   tatoriali e il risultato del plebiscito delle Due Sicilie, e, avendo ultimato l’o-
                   pera sua anche simbolicamente con questo atto formale di lealismo e di de-
                   vozione, il mattino dopo, sul far del giorno e quasi clandestinamente, si im-
                   barcò con pochi fedeli sul Washington e, sciolta colle sue mani la gomena che
                   tratteneva la nave a riva, se ne andò lontano sul mare.
                      Ma, prima di lasciare il Regno conquistato, rifiutò cortesemente le ricom-
                   pense ufficiali che gli furono offerte: il Collare dell’Annunziata, il titolo di
                   principe di Calatafimi, il grado di generale d’Armata, una ricca dote per la fi-
                   glia, la carica di aiutante di campo del Re per il secondo figlio.
                      Non partiva, tuttavia, a mani vuote. «Basso, segretario, nascondeva nelle
                   sue valigie alcune centinaia di lire ed egli stesso aveva fatto imbarcare sul Was-
                   hington, spoglie opime della conquista, un sacco di legumi, un altro di semen-
                   ti e un rotolo di merluzzo secco».
                      Dopo la succinta narrazione delle gesta che portarono le camicie rosse dal-
                   la punta del Faro al Volturno, conquistarono il Regno di Napoli e ridussero
                   Francesco II e il suo esercito fra le fortezze di Capua e di Gaeta, concludiamo
                   brevemente, esaminando la figura del condottiero che l’impresa preparò, di-
                   resse e condusse a termine.
                      Negò qualcuno, in tempi di livore e di incomprensione, ingiusto perché
                   parziale, che Garibaldi possedesse le qualità indispensabili al capitano, forse
                   perchè non studiò strategia e tattica e non fu un tecnico, un professionista,
                   ma semplicemente un empirico dell’arte della guerra.
                      Ora, indipendentemente dalle considerazioni che un tal sommario giudi-
                   zio ci ispira, e che omettiamo perchè il discorrerne ci porterebbe lontano, è
                   d’obbligo riconoscere che, nell’opinione del popolo, e non soltanto del no-
                   stro, Garibaldi fu sempre il tipico eroe della spada e nessuno mai potè sottrar-
                   si al fascino che si sprigiona dalla leggendaria figura.
                      Che, in Italia, si sia, da tempo, resa giustizia, dando a Cesare ciò che a Ce-
                   sare compete, è risaputo, ma chi avesse dubbio ancora, potrà convincersi fa-
                   cilmente leggendo la pregevole monografia dell’Ufficio Storico «La campagna
                   di Garibaldi nell’Italia meridionale» redatta da Cesare Cesari con sagacia di
                   storico e con fervore di soldato.
                      Comunque, nessuno può oggi ragionevolmente negare che quel grande ar-
                   tefice della nostra unità nazionale possedesse, in sommo grado, quelle doti
                   particolari che, nel loro complesso, costituiscono il genio militare.
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