Page 524 - Il Regio Esercito e i suoi archivi - Una storia di tutela e salvaguardia della memoria contemporanea
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            ri, diari, memorie e autobiografie  – ma comprendente anche carteggi istituzio-
            nali e operativi, di competenza, quindi, dell’Ufficio storico.
               Lo scopo fondante, ovverosia creare un’«identità» funzionale ai bisogni del
            presente, era il polo privilegiato attorno cui ruotavano le scelte conservative e
            l’uso  dei  racconti  (leggi  «documenti»).  Così,  parallelamente  al  processo  di
            «scomposizione»  e  «ricomposizione»  della  memoria  individuata  come  quella
            che si voleva tramandare, è avvenuto quello delle carte custodite, trattate alla
            stessa stregua delle memorie materiche. Anche in questo caso, pur stigmatizzan-
            do l’inadeguatezza di questo approccio, è utile immergersi nuovamente nel pas-
            sato, quando la confusione sul concetto di «archivio» rispetto agli altri tipi di
            fonti non era prerogativa esclusiva degli ambienti militari. Segnaliamo, ad esem-
            pio, il caso del ministro della Pubblica istruzione che, con decreto dell’ottobre
            1919, aveva esteso le originarie finalità del Comitato nazionale per la storia del
            Risorgimento, attribuendogli la competenza di ricercare, raccogliere e ordinare
            materiale relativo al Primo conflitto mondiale, di carattere non solo bibliografico
            e museografico ma pure archivistico. Decisione condannata anche dall’ammini-
            strazione archivistica sia perché favoriva la creazione di un luogo di custodia
            archivistica in antitesi con quelli già esistenti cui il legislatore aveva affidato la
            funzione  conservativa  sia  perché  riproponeva  l’ambiguità  tra  il  concetto  di
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            «archivio» e quello di «raccolta» o «collezione di documenti» .
               E in alcuni casi, clamorosi, lo stesso legislatore mostrava una scarsa cono-
            scenza delle differenze tra archivio, biblioteca e museo. Il riferimento immediato
            è al r.d. 7 lug. 1866, n. 3036, sulla soppressione delle corporazioni religiose,
            secondo il quale gli archivi degli enti soppressi dovevano essere devoluti a «pub-
            bliche biblioteche od a musei», ignorando, dunque, l’esistenza degli Archivi di
            Stato e causando smembramenti di carte tra archivi e biblioteche. E, ancora, il
            r.d.l. 12 feb. 1930, n. 84 , con cui, in tema di commissioni di scarto di atti stata-
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            li, si stabiliva che, nelle località non sede di Archivio di Stato , doveva far parte
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            della commissione il bibliotecario, locale o viciniore. Infine, la stessa l. 22 dic.


            31   M.l. betri-d. Maldini Chiarito, introduzione, in Scritture di desiderio e di ricordo. Au-
               tobiografie, diari, memorie tra Settecento e Novecento, a cura di M.l. betri-d. Maldini
               Chiarito, Milano, Franco Angeli, 2002 (Storia), pp. 7-16, in part. p. 7 e p. 14.
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                La reazione dell’amministrazione archivistica determinò il ritiro del decreto del 1919. Su
               questo episodio citiamo ancora una volta le pagine di a. Panella, Chiose a un decreto, in
               id., Scritti archivistici, Roma, Ministero dell’interno, 1955 (Pubblicazioni degli Archivi di
               Stato, XIX), pp. 107-111. Per una critica alla creazione delle raccolte documentarie presso
               i musei del Risorgimento, definiti «frantumi incompleti», cfr. e. Casanova, archivi della
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               guerra, in archivistica, Siena, Stab. arti grafiche Lazzeri, 1928 , pp. 248-250.
            33   Convertito nella l. 17 apr. 1930, n. 578.
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                Solo con la l. 22 dic. 1939, n. 2006, veniva disposta l’istituzione di un Archivio di Stato in
               ciascun capoluogo di provincia.
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