Page 82 - Il Regio Esercito e i suoi archivi - Una storia di tutela e salvaguardia della memoria contemporanea
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II. L’organo di vertice
Riprendiamo, approfondendole, alcune questioni relative al «comando» e allo
«Stato maggiore» su cui abbiamo già fornito diversi elementi. La caratteristica
fondamentale del comando nell’ambito militare, la sua funzione essenziale, è
quella di «decidere», e la decisione può essere presa solo da una persona: il «co-
mandante». Questo è il solo a disporre – qualunque sia il livello del comando che
esercita – e non può delegare a nessun altro detta prerogativa; tuttavia, può essere
assistito nel maturare la propria decisione. Nel tempo, la centralità di una tale
assistenza è stata sentita in misura sempre maggiore; basti pensare alla crescita
della consistenza delle forze impiegate e della complessità dei compiti: quindi,
non era possibile che un solo uomo avesse la capacità e la preparazione tecnica
necessarie per assolvere efficacemente a tutte le funzioni di comando. Da qui la
necessità di affiancare al comandante, che resta il solo responsabile delle decisio-
ni, una organizzazione, uno staff capace e preparato e dei collaboratori diretti, che
lo aiutino a dirigere e coordinare l’azione delle unità dipendenti, che traducano le
sue decisioni in ordini e che ne controllino la correttezza dell’esecuzione. Da qui
la nascita degli stati maggiori la cui origine, nell’accezione moderna, viene fatta
generalmente risalire a re Gustavo Adolfo. Infatti, dopo la sua morte nella batta-
glia di Lützen del 1632, gli ufficiali che avevano prestato servizio ai suoi ordini
adottarono, presso gli eserciti europei ove si trasferirono, indirizzi similari a quel-
li seguiti nell’Esercito del sovrano svedese, nel cui ambito l’organizzazione dello
Stato maggiore del Quartier generale e dei reggimenti aveva stabilito una catena
di dipendenze che embrionalmente conteneva il principio della «specializzazione
degli incarichi». Questa non rappresentava una vera e propria novità quanto una
applicazione dei metodi in parte già seguiti dai grandi condottieri dell’antichità,
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imposta da nuove esigenze e da nuove tecniche . Si pensi, ad esempio, all’impie-
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Il riconoscimento di tale necessità si trova, ad esempio, già in Machiavelli che, nel dialogo
Dell’arte della guerra, scritto nell’estate del 1520, fa affermare a Fabrizio Colonna: «La
maggiore e più importante avvertenza che debba avere uno capitano, è di avere appresso
di sé uomini fedeli, peritissimi della guerra e prudenti, con gli quali continuamente si con-
sigli e con loro ragioni delle sue genti e di quelle del nimico: quale sia maggiore numero,
quale meglio armato, o meglio a cavallo, o meglio esercitato; quali sieno più atti a patire
la necessità; in quali confidi più, o ne’ fanti o ne’ cavagli. Di poi considerino il luogo dove
sono, e s’egli è più a proposito per il nimico che per lui; chi abbia di loro più commoda-
mente la vettovaglia; s’egli è bene differire la giornata o farla; che di bene gli potesse da-
re o torre il tempo (…)». Cfr. Dell’arte della guerra, Libro IV, in Niccolò Machiavelli. Il
Principe. Introduzione di Nino Borsellino seguito da Dell’Arte della Guerra, a cura di a.
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CaPata, Roma, Newton & Compton editori, 2003 , p. 184.

