Page 154 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
P. 154
154 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
Mondiale su vasta scala, gli aggressivi chimici produssero i loro risultati più sul piano emo-
tivo e della propaganda che sul piano materiale, ad avere un forte impatto furono invece le
bombe incendiarie, utilizzate già in Libia . Nel 1925 i rappresentanti di 26 Stati, alcuni
418
con qualche riserva, avevano firmato il Protocollo di Ginevra nell’intento di proibire l’uso
delle armi chimiche e batteriologiche, e l’Italia nel 1928. Nonostante questo importante
trattato, gli esperimenti sugli aggressivi chimici continuarono in tutte le maggiori potenze e
l’Italia li avrebbe poi impiegati in Etiopia suscitando le proteste della comunità internazio-
nale, scossa dalle denunce del Negus, ma nessuna reazione concreta. Fatta questa premessa,
e ribadita la condanna dell’uso di armi chimiche, vanno però fatte alcune precisazioni: le
bombe C.500.T all’iprite erano utilizzate con l’obiettivo di interdire per una decina di
giorni punti di passaggio obbligato, come guadi fluviali e passi montani, ma nelle condi-
zioni climatiche dell’Etiopia nessun “sbarramento C” mantenne la sua efficacia per più
419
di un paio di giorni . Da un esame puntuale dei documenti presenti nell’archivio dello
420
Stato Maggiore dell’Esercito, dove sono indicati gli obiettivi battuti, non risulta che bom-
be all’iprite siano state sganciate intenzionalmente sui villaggi e sulla popolazione. Anche
i lanciafiamme, poco utilizzati sul campo di battaglia perché troppo pesanti e delicati,
oltre che per la mancanza di obiettivi, finirono per essere impiegati soprattutto per scopi
igienico-sanitari nell’eliminazione di cadaveri e carogne in decomposizione. Iprite e arsine
furono ancora utilizzate durante le operazioni di polizia coloniale ma in misura più ridotta
e meno sistematica, anche rispetto a quanto autorizzato. Del resto se in guerra le masse di
armati avversarie erano state un facile bersaglio , nelle operazioni di controguerriglia il
421
nemico era molto più sfuggente e meno facilmente localizzabile, anche perché l’area di ri-
cerca era molto più ampia. Spesso le informazioni sui gruppi dissidenti erano confuse e ci si
accorgeva della loro presenza solo al momento dell’imboscata, l’azione tattica preferita dai
guerriglieri . In questo scenario il ricorso alle armi chimiche sarebbe stato inutile e anche
422
controproducente, in quanto con l’iprite ci sarebbe stato il rischio di rendere impraticabili
zone attraversate dalle truppe italiane . Per quanto riguardava invece le arsine, utilizzate
423
418 A conferma di questa tesi si veda anche GiorGio rochat, Guerre italiane in Libia e in Etiopia. Studi
militari 1921-1939, Treviso, Pagus Edizioni, 1991, pp. 144-145.
419 Il termine “sbarramento” per definire questo genere di operazioni venne utilizzato per la prima volta
in un telegramma dei primi di gennaio del 1936 per velocizzare le comunicazioni.( tel. n. 132OP. del
4 gennaio 1936, AUSSME, Fondo D-5, busta 72).
420 Mario Montanari nel suo interessantissimo Politica e strategia in cento anni di guerre italiane, op. cit.,
riprende le valutazioni di F. Pedriali, p. 320.
421 La ritirata delle armate di ras Mulughietà nell’Endertà e di ras Immirù nello Scirè fu resa ancora più
drammatica dal largo impiego dell’iprite.
422 Scrive Ato Abate Alemu, partigiano classe 1922: “ However, when the enemy came, equipped to his
neck with modern arms, we would often move away with our cattle so as to avoid a face-to-face en-
gagement”, per poi aggiungere che “Our fighting mainly involved ambush attacks from the moun-
tainous areas we used to occupy”, in Andrew Hilton, the ethiopian Patriots, op. cit., p. 144.
423 In un telegramma di Maletti del maggio 1937, in risposta ad un telegramma di Gariboldi che gli
chiedeva se reputasse opportuno l’utilizzo di gas, si legge: “[...] Risultami che zona est ricca di caver-
ne nelle quali ribelli si rifugiano abitualmente non appena avvistati aerei. Essi lasciano tali rifugi per
Capitolo seCondo