Page 158 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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158 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
e l’appoggio della popolazione resero molto difficile l’azione repressiva ed era su questi due
elementi che faceva leva anche la guerriglia etiopica. Il territorio, soprattutto nella regione
dell’altopiano, tormentato e ricco di vegetazione, si prestava infatti a una lotta che non
conosceva né fronti né retrovie. Già nel 1936, insieme ai gruppi di armati che si presenta-
vano spontaneamente c’erano elementi isolati restii a consegnare le armi, come si verificò
ad esempio nel novembre del 1936 nelle zone del Garamullata e del Cercer , un vasto
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territorio che venne battuto da compagnie isolate affiancando l’azione militare a quella po-
litico-informativa. Il 1937 si aprì con l’attentato al viceré Graziani in febbraio e la reazione
che ne seguì fu così tremenda da scatenare un effetto a catena che nei mesi successivi inte-
ressò numerose regioni dell’Amara, prima fra tutte il Goggiam. In seguito all’eliminazione,
quasi sempre fisica, dei capi maggiori, la guerriglia che in partenza aveva visto l’azione di
grandi masse di ribelli mutò forma, con il moltiplicarsi di formazioni locali forti al più di
qualche centinaio di uomini che privilegiavano la tattica del “mordi e fuggi”, con attacchi
improvvisi e imboscate, evitando per quanto possibile gli scontri frontali e contando sulla
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popolazione per aumentare all’occorrenza i loro effettivi . Nei telegrammi dei comandi
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italiani si leggono molti nomi, più o meno famosi: ras Destà, Tesciommé Sciancut, Hailù
Chebbedè, Beienè Merid, ma chi diventò una leggenda è Abebé Aregai che, con i suoi se-
guaci, scorazzò per anni tra le impervie province dello Scioa, impegnando Graziani prima,
Amedeo d’Aosta poi. Col tempo, i guerriglieri maturarono un’esperienza tale da risultare
molto più efficaci di quanto non lo fossero stati i reparti regolari dell’esercito negussita.
Le formazioni ribelli erano strettamente collegate le une alle altre e conoscevano quindi
l’una i movimenti dell’altra oltre a quelli del nemico. A rendere più solida e temibile questa
organizzazione erano una disciplina spietata, che puniva la minima titubanza e vedeva il
tradimento pagato sempre con la vita, e una fortissima motivazione rafforzata dal fatto che
la resa significava quasi sempre la morte, per cui tanto valeva combattere fino all’ultimo .
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L’ipotesi poi che dietro a tutto questo ci fosse una “mente europea” era data per assodata
dal viceré, come si vedrà in seguito.
La risposta italiana fu un’azione di controguerriglia che non lasciò spazio, almeno nei
primi due anni, ad alcun tipo di compromesso mirando all’eliminazione pura e semplice
op. cit., p.64, e ancora: “We always fought by encircling and isolating the enemy forces. Otherwise,
the Italians were unbeatable in frontal fighting and their shots were as uninterrupted as the blowing
wind”, ivi, p.134.
432 Per avere un’idea della situazione si legga in AUSSME, Fondo D-6, DS 169, tel. n. 9878 di prot.,
operazione arussi, firmato Nasi del 3 dicembre 1936, e tel. n. 10711 Situazione politico-militare al 23
dicembre, firmato Nasi.
433 “[...] we would often move away with our cattle so as to avoid a face-to-face engagement. [...] Our
fighting mainly involved ambush attacks from the mountainous areas we used to occupy”, in Andrew
Hilton, the ethiopian Patriots, op. cit., p. 144.
434 “[...] Le formazioni ribelli non hanno una consistenza permanente ma bensì fluttuante at seconda
delle circostanze. Cioè: intorno ai capi di ogni classe che tengono desta la ribellione, si radunano at
seconda delle circostanze i paesani armati aut violenti. Le formazioni sono quindi di numero oscil-
lante”, tel. n. 00256 firmato Amedeo di Savoia del 4 gennaio 1938, AUSSME, Fondo D-6, DS 78.
435 Tel. n. 31687 firmato Graziani del 24 giugno 1937, ASMAI, II, posiz. 181/40, fascicolo 195.
Capitolo seCondo