Page 149 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Il RegIo eseRcIto e le opeRazIonI dI polIzIa colonIale In afRIca (1922-1940)  149

              venzione di Ginevra sui prigionieri. Anche in questo caso, volendo fare qualche esempio,
              Nasi ci viene in aiuto: nei combattimenti di Gianagobò e Bircut, nell’Ogaden, tra il 16 e il
              19 aprile 1936, la divisione “Libia” fece 500 prigionieri che vennero mandati in un campo
              di concentramento presso Mogadiscio e dopo circa un anno furono liberati. Così come,
              raggiunta Harar l’8 maggio 1936, sempre Nasi proibì agli ascari della sua divisione l’accesso
              in città a tutela della popolazione, e fu ancora lui, durante il combattimento di Bircut, il 19
              aprile 1936, a tributare l’onore delle armi al fitaurari Mebratù, fratello di ras Destà, ferito a
              morte, un fatto più unico che raro. Non a caso il più famoso dei capi etiopici, Abebè Are-
              gai, ebbe a dire: “I nemici numero uno dell’Etiopia sono il Duca d’Aosta e il Generale Nasi
              perché con la loro magnanimità smorzano nel popolo il sentimento dell’indipendenza” .
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                 L’azione italiana, soprattutto dopo la presa di Addis Abeba, inserita come fu nel con-
              testo di una guerriglia senza esclusione di colpi, ci appare oggi di estrema durezza, ma la
              situazione non era poi così diversa nella maggioranza dei paesi colonizzati: in Kenya pro-
              prio in quegli anni gli inglesi imposero la legge marziale. Purtroppo, come accade spesso
              in guerra, e soprattutto nella guerra di guerriglia, la popolazione fu oggetto di violenze da
              parte di entrambi i contendenti.


              L’ambiente

                 Il territorio etiopico, vasto circa tre volte l’Italia, presenta un’incredibile varietà paesag-
              gistica: a enormi aree desertiche e a steppe desolate si contrappongono pianure fertilissime,
              altopiani temperati, foreste rigogliose, zone paludose e malariche e due catene montuose
              con picchi di oltre 5.000 metri. Il vasto altopiano si spinge a est fino alla fossa dancala, alla
              valle dell’Auasc e ai laghi galla, mentre a ovest declina verso il Sudan. Lo costellano eleva-
              zioni improvvise, le famose “ambe” che si alzano di qualche centinaio di metri sopra il suo
              livello medio e sono di solito coronate da una spianata più o meno ampia, a volte abitata.
              L’altopiano è tagliato dai fiumi Tacazzé, Guder, Nilo Azzurro, Auasc. La parte orientale
              comprende le regioni del Tigrai, del Lasta, dello Uollo e dello Scioa, quella occidentale i
              monti Semien, il Goggiam, lo Uollega, il Caffa.
                 Dal punto di vista climatico l’Etiopia può essere divisa in cinque zone che hanno in
              comune un notevole sbalzo termico tra il giorno e la notte mentre il tasso di umidità cresce
              quanto più ci si sposta verso sud. Il fattore più significativo, però, quando si parla di sposta-
              menti in massa di interi reparti è quello delle piogge: furono infatti le piogge, che distinte
              in “piccole” e “grandi” imperversano per sei mesi l’anno, a bloccare, da aprile a settembre
              del 1936, l’azione italiana. Graziani scrisse in proposito di “cateratte del cielo aperte”, di
              un vero e proprio diluvio che gonfiava in maniera spropositata tutti i corsi d’acqua tra-
              sformando semplici torrentelli in fiumi impetuosi e inguadabili, mentre il fango fermava i
              reparti autocarrati.
                 In campo tattico un primo fattore da considerare erano le ambe, che con i loro fianchi
              scoscesi erano altrettanti fortilizi naturali anche se l’orografia tormentata dell’altopiano,

              405 Memoria di G.C. Nasi, AUSSME, Fondo L-9, busta 159.
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