Page 147 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Il RegIo eseRcIto e le opeRazIonI dI polIzIa colonIale In afRIca (1922-1940) 147
Alcune etnie praticavano anche riti selvaggi sui nemici catturati, ma questa non era la
norma. Detto ciò Nasi aggiungeva che, durante il conflitto italo-etiopico, i soldati etiopici
non avevano mai risparmiato i prigionieri e fra gli esempi più famosi citava l’eccidio del
cantiere Gondrand a Mai Lalà nel Tigrai, dove nel 1935 una settantina di operai italiani di-
sarmati vennero uccisi e seviziati barbaramente, l’episodio di Edd, in Dancalia, nel gennaio
del 1936, in cui prigionieri italiani e nativi furono massacrati, i bambini indigeni evirati
e alle donne vennero tagliate le mammelle. Nel luglio del 1936 una squadra di telegrafisti
italiani intenta a riparare la linea telefonica a circa 15 chilometri da Harar fu catturata dai
ribelli e uno solo dei sette uomini riuscì a nascondersi per poi raccontare le inumane sevizie
a cui i suoi compagni erano stati sottoposti. Sempre in quel periodo, la missione Calderini,
arrivata a Lekemti con tre velivoli, venne attaccata a sorpresa dagli allievi della scuola di
Oletta e tutti i suoi componenti trucidati. Nel 1938 poi, nel Goggiam, per i militari italiani
catturati non ci fu quartiere, neppure per i medici, e ancora nel 1941 a Socotà, un funzio-
nario, un ufficiale e un maresciallo dei carabinieri furono fucilati senza processo. Lo stesso
Negus, che tanto aveva condannato i metodi di guerra degli italiani, non avrebbe esitato nel
1943 a inviare una spedizione punitiva contro i ribelli galla con il risultato che la regione
fu messa a ferro e fuoco e decine di migliaia di capi di bestiame razziati mentre l’aviazione
al servizio dell’imperatore bombardava i mercati, uccidendo centinaia di persone innocenti
come accadde a Makallè, dove persero la vita donne e bambini.
Paolo Corazzi, un ufficiale che prese parte alle operazioni di polizia coloniale in Etio-
pia con il XIII battaglione coloniale, ha ricordato nelle sue memorie la terribile fine di un
gruppo di operai italiani sorpresi dal nemico: un inferno di sangue e corpi straziati che non
avrebbe mai dimenticato . Un altro episodio riferito dallo stesso ufficiale può aiutare a
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comprendere il clima di quegli anni: era il 1939, il capitano Partini, da sempre favorevole
al dialogo, era il residente di Geldù, un villaggio del Cacciamò. In una notte di gennaio, gli
uomini di Gerbì-Bultò assalirono il fortino, lo incendiarono, uccisero tutti i componenti
della banda residenziale e trucidarono gli ufficiali, tra cui Partini, “portando in giro le
loro teste mozze per i villaggi pacificati” . E ancora, il 7 dicembre 1937 il VI battaglione
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coloniale, rientrando al presidio di Adiet, sul Lago Tana, fu oggetto di un violento attacco
del nemico in cui perse diversi uomini, alcuni fatti prigionieri vennero “barbaramente
trucidati” . Si salvarono solo due ufficiali, presi sotto la protezione del degiac Mangascià
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in considerazione del prestigio che derivava dal possesso di schiavi bianchi.
Ciò che atterriva Corazzi e altri, tra i quali anche Paolo Caccia Dominioni, uomo di
indubbio coraggio oltre che di cultura, era la possibilità di essere presi vivi, seviziati e fatti a
pezzi nel senso vero della parola: “Dopo aver preso definitivamente contatto con il nemico,
non possiamo cacciare dai nostri pensieri le immagini assillanti del martirio che l’abissino
ha l’abitudine di infliggere al suo avversario caduto, posto che sia ancora vivo. (Dove sarà
il piacere di tagliare a pezzi un cadavere?). Impressionanti fotografie hanno cominciato a
396 paolo corazzi, Etiopia 1938-1946. Guerriglia e filo spinato, Milano, Mursia, 1984, p. 18.
397 Ibidem, p. 41.
398 Ibidem., p. 47.