Page 145 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Il RegIo eseRcIto e le opeRazIonI dI polIzIa colonIale In afRIca (1922-1940) 145
mediari locali. I ras e il clero erano il tessuto connettivo della società etiopica, Mussolini,
condizionato dalla sua ignoranza e dall’ottusità di Lessona, non lo capì commettendo un
errore fatale. Nonostante quello che sarà il suo comportamento nel 1937, e a dimostrazione
del fatto che questa svolta repressiva non era stata programmata, Graziani non aveva mai
escluso la possibilità di collaborare con i notabili locali . In un telegramma del giugno del
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1936 chiedeva infatti a Mussolini, tramite Lessona, in mancanza al riguardo di disposizioni
di legge, di poter concedere maggiori poteri all’abuna Cirillos, una delle maggiori persona-
lità della chiesa copta, per facilitarlo nell’opera di pacificazione, tenendolo sotto controllo
nell’eventualità di un tradimento . Graziani sapeva bene che l’abuna era un ingranaggio
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che poteva diventare un alleato importante ma a differenza di Nasi non aveva difficoltà a
passare alle maniere forti, senza alcuna remora morale .
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Tra i fautori di un approccio pragmatico, orientato meno alla repressione e più alla
trattativa, c’era anche De Bono: in tempi non sospetti, ancor prima dell’inizio del conflitto,
aveva fatto presente che atti di violenza gratuiti avrebbero suscitato reazioni negative nelle
zone occupate con riflessi sfavorevoli in quelle contigue, e conseguenze non certo positive
sull’andamento delle operazioni . In quest’ottica, ma con un’ancora maggiore ampiezza
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di vedute, si mosse il generale Guglielmo Ciro Nasi che dal 1° giugno 1936 fino al maggio
del 1939 si trovò a governare la regione dell’Harar, un territorio grande quanto l’Italia i cui
distretti del Cercer, degli Arussi, del Bale furono ripetutamente teatro di operazioni di po-
lizia coloniale. Da esperto ufficiale coloniale Nasi sapeva che, una volta conquistata Addis
Abeba, l’esercito italiano avrebbe dovuto fronteggiare enormi difficoltà: “Questo poteva
prevedersi, perché è classico in Africa. Più celere è la conquista della capitale, attuata con
procedimenti di guerra, e più lenta ( è quasi un paradosso) sarà la sottomissione di tutto
il territorio che richiede procedimenti “di guerriglia” a “macchia d’olio” se si vuole che la
sottomissione sia sincera e duratura” .
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Nasi ci mise un anno a occupare tutto il territorio dell’Harar, e non mancarono i mo-
menti difficili, come quando nel febbraio del 1937 la divisione “Libia”, di cui era stato
comandante, si scontrò con le forze di ras Destà vicino alla sorgente dello Uebi Scebeli. E’
però dell’estate del 1936 un episodio che ci fa capire il diverso approccio di Nasi al tema
della pacificazione: durante l’occupazione del Cercer il fitaurari Mellion chiese di poter
fare atto di sottomissione domandando in cambio salva la vita per sé e per i suoi uomini.
Nasi, propenso ad accettare, si trovò ad affrontare le direttive ministeriali e anche il parere
contrario di Graziani, all’epoca ormai viceré, ma andò dritto per la sua strada e accettò
387 Anche Badoglio, prima di lasciare l’Etiopia, aveva auspicato una collaborazione coi capi locali pren-
dendo a modello quanto facevano i britannici in India: così facendo non solo sarebbe stato più facile
governare, ma l’occupazione italiana sarebbe risultata meno difficile da accettare per una popolazione,
che non era mai stata soggetta al dominio straniero.
388 Tel. n. 3202 firmato Graziani del 15 giugno 1936, AUSSME, Fondo D-6, DS 40.
389 Tel. n. 3151 firmato Graziani del 14 giugno 1936, AUSSME, Fondo D-6, DS 40.
390 Condotta verso le popolazioni d’oltre confine, 10 settembre 1935, AUSSME, Fondo D-5, busta 60.
391 Dattiloscritto di Andrea Rovighi, Venticinque anni dell’Italia in Africa nella vita di Guglielmo Ciro Na-
si, n. p., AUSSME, Fondo L-9.