Page 148 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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           girare dopo le sorprese di questo inverno: gli atroci dettagli sono noti a tutti, adesso. Ci
           va bene combattere in formazione serrata; ti può capitare la buona ferita o morire di una
           palla nel mezzo dei commilitoni. Ma la sorte di quelli che devono pattugliare praticamente
           isolati è quanto meno preoccupante, così come quella degli imprudenti che si allontanano.
           Il fato ha designato questa mattina due autieri [...]. ‘Li hanno trovati ancora caldi’, dice il
           colonnello. Osiamo porre la terribile domanda: ‘E... mutilati?’ il colonnello, senza dire una
           parola, piega il capo in avanti” .
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              E ancora: “Le notti seguenti il nemico è arrivato fino alle nostre posizioni, nel fetore
           caldo dei cadaveri, e ci ha schernito in perfetto italiano: ‘Perché i vostri prigionieri, mentre
           li eviriamo, chiamano sempre la mamma?’” .
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              Gli stessi partigiani etiopici hanno poi confermato questa pratica barbara. Uno di loro,
           il maggiore Seyfu Haile, quasi novantenne, ha raccontato di aver trovato i cadaveri di due
           spahis “i cui organi sessuali erano stati mutilati” , e il capitano Zikargae Woldemedhin,
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           classe 1916, ha dichiarato che alcuni combattenti avevano iniziato a castrare i soldati nemi-
           ci : davanti a simili atti, la risposta italiana non avrebbe potuto non essere decisa.
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              La testimonianza di Amedeo Guillet, anni fa, è dello stesso tono. Le popolazioni del
           Corno d’Africa erano solite combattere fra loro quando non avevano un nemico contro
           il quale far fronte comune, e ogni capo tribù aveva i suoi armati coi quali cercava di far
           valere la propria autorità secondo una logica feudale. Non c’era pietà per gli sconfitti. Ma
           Guillet non è un caso isolato: molti combattenti hanno vissuto esperienze analoghe e i loro
           racconti confermano che gli ascari avevano usanze simili a quelle dei ribelli e al nemico
           spesso si mozzava la testa per fornire una prova della propria abilità in combattimento .
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           Che i militari italiani abbiano a volte ecceduto, adattandosi ai costumi del nemico e mac-
           chiandosi di colpe simili , è un fatto incontestabile, ma va anche detto che si trovavano a
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           operare in un territorio selvaggio. In questo scenario era gioco forza che con gli agi propri
           dell’occidente venissero dimenticati anche, e purtroppo, alcuni principi fondamentali del-
           le convenzioni internazionali. In un paese dove era praticamente impossibile il trasporto
           dei propri feriti, sarebbe stato utopico pensare a quelli del nemico, anche se va detto che
           durante la guerra italo-etiopica alcuni comandanti cercarono di rispettare al meglio la con-



           399 paolo caccia doMinioni, Amhara. Cronache della Pattuglia Astrale,, Milano, Ed. Libreria Militare,
              2006, pp. 95 e 97.
           400 Ibidem., p. 51
           401 andrew hilton, the ethiopian Patriots, Glouchestershire, Spellmount Military Studies, 2007, p.
              166.
           402 Ibidem, p. 173.
           403 paolo corazzi, Etiopia 1938-1946. Guerriglia e filo spinato, op. cit., p. 19.
           404 Come non pensare, ad esempio, alla testa del degiac Hailù Chebbedè messa in una scatola di biscotti
              Lazzaroni e mostrata come trofeo di guerra? La stessa sorte era toccata a molti soldati italiani, come
              a quell’aviatore a cui, come ricordano fonti etiopiche, era stata tagliata la testa “contro tutte le leggi
              umane e internazionali per cui i prigionieri sono sacri e vanno rispettati”, in Documents on Italian War
              Crimes, Vol. II, Ministry of Justice, Addis Abeba 1950, p. 33. Più di una volta, nei telegrammi italiani
              si parla degli etiopici come di “orde barbare pronte a compiere ogni orrore”.

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