Page 167 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Il RegIo eseRcIto e le opeRazIonI dI polIzIa colonIale In afRIca (1922-1940) 167
dinamiche e regole, scritte e non, molto diverse da quelle europee, il che li portava a volte
a prendere decisioni che oggi possono sembrarci discutibili ma che allora rientravano nello
logica dell’“impero”. Questi ufficiali rappresentavano la punta di diamante dell’esercito, ma
erano comunque una minoranza, per quanto qualificata. Gran parte dei quadri intermedi,
ai quali erano tipicamente affidati i battaglioni, e degli ufficiali subalterni, che vivevano
a contatto con la truppa, era arrivata in Africa nel quadro dell’espansione degli organici
decisa alla vigilia del conflitto, aveva quindi una conoscenza insufficiente dell’ambiente e
inoltre, provenendo in buona parte dal bacino degli ufficiali di complemento, in molti casi
era anche carente dal punto di vista della preparazione militare in generale. Erano lacune
che le particolarità della gestione di truppe di colore e le difficoltà quotidiane della vita in
colonia non tardavano a far emergere, e che il coraggio individuale e l’entusiasmo non sem-
pre bastavano a colmare . Prestare servizio in Africa era comunque cosa ben diversa dal
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farlo in Europa: la colonia richiedeva ufficiali di una tempra speciale, in grado di rimanere
lontano dalle famiglie per mesi se non per anni, in grado di agire con la massima autono-
mia e possibilmente assistiti da una buona dose di coraggio, da una salute di ferro e da una
grande fiducia in se stessi .
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Bisognava saper reagire all’imprevisto, avere una notevole forza di volontà e anche
un’intelligenza non comune , non a caso Graziani scrisse a Pirzio Biroli che il rendimento
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di una colonna impegnata in un’operazione coloniale dipendeva per il 75 per cento dal co-
mandante . I battaglioni indigeni e spesso anche le bande erano sempre comandati da uf-
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ficiali italiani, dal momento che gli indigeni erano esclusi dalle funzioni di comando se non
ai livelli più bassi della scala gerarchica, ma non si era mai pensato di creare un percorso
formativo speciale per chi fosse destinato in colonia, fatto questo che non può non stupire
tenuto conto delle peculiarità dei reparti indigeni. Fu quindi sul campo, alla scuola dell’e-
sperienza, che si formò una “classe coloniale” di ufficiali con un approccio tutto particolare
ai problemi e alle situazioni di ogni genere che dovevano affrontare quotidianamente. L’u-
nico addestramento era quello dato dalla pratica dell’affiancamento: in Libia, in Eritrea, in
Somalia gli ufficiali destinati ai reparti indigeni venivano affiancati al comandante il quale,
dopo un breve periodo di tirocinio a carattere tecnico, psicologico ed ambientale, dava un
parere al comando superiore sull’idoneità del nuovo arrivato. Negli anni questa prassi aveva
dato ottimi risultati ma con la tumultuosa espansione dello strumento nel 1935 e con la si-
tuazione venutasi a creare nel 1936, al termine della campagna, mancò il tempo necessario
per l’ambientamento dei nuovi quadri e sarebbero state necessarie soluzioni più strutturate.
Gli ascari, va detto, erano considerati, pur con i loro difetti, il punto di forza dello
strumento militare nelle colonie. Si erano già distinti in Libia e si distinsero anche in Etio-
pia per coraggio, resistenza, fedeltà. Nei diari storici, in quelli dei comandi come in quelli
469 Tel. n. 16330, firmato Cavallero del 2 agosto 1938, AUSSME, Fondo N-7, busta 1382.
470 pietro Maletti, Battaglione eritreo misto, in “Rassegna del Mediterraneo e della espansione italica”
della “Rassegna italiana”, 1927, vol. XX, fasc. CXIII e CXIV, p. 999.
471 Tel. n. 819/3, firmato Barbacini del 2 maggio 1937, AUSSME, Fondo D-6, DS 488.
472 Tel. n. 47012, firmato Graziani del 6 ottobre 1937, AUSSME, Fondo D-6, DS 70.