Page 164 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
P. 164
164 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
utilizzata da Nasi nella provincia dell’Harar, nel 1936, quando, in seguito a un vero e
proprio regolamento di conti fra tribù, erano stati usati piccoli capisaldi, gestiti anche da
nazionali, con compiti di pura polizia . A questo proposito, le truppe metropolitane pre-
456
senti al loro interno dovevano essere scelte con attenzione e ben addestrate. Nella difficilis-
sima estate del 1937, nello Scioa, venne costituita nel settore di Moggio una vera e propria
cintura di presidi in grado di arginare azioni in massa degli etiopi. Al loro interno erano
stati costituiti drappelli di soldati, dei quali almeno un quarto doveva essere sempre pronto
a muoversi al primo accenno di rivolta. Attraverso un appropriato armamento, un’ottima
conoscenza del territorio circostante, l’accesso ai ponti e l’intervento dell’aviazione, quando
necessario, i presidi diventavano realmente strategici. Certo, davanti all’ondata di violenza,
insostenibile per i perni più piccoli, essi vennero fatti ripiegare su quelli più grandi: nella
tarda estate del 1937 nel Goggiam era successo proprio questo. A riguardo, Graziani aveva
fatto notare a Lessona che in una situazione così difficile, avere piccoli avamposti sparsi in
giro, non poteva far altro che arrecare danno all’intera gestione del territorio che, invece,
andava difeso attraverso il movimento delle colonne sui perni di manovra ben difesi e orga-
nizzati . Il punto di svolta, infatti, erano le colonne che dovevano essere sì imponenti, ma
457
anche in grado di muoversi veloci: senza di esse tutta la rete presidiaria non sarebbe servita
a nulla, anzi, sarebbe divenuta un peso inutile per l’aviazione che l’avrebbe dovuta rifornire
e supportare in caso di attacco. Due elementi erano quindi fondamentali nell’ottica di
Graziani: forze mobili e autonomia logistica, oltre alla giusta protezione, spesso fornita da
reticolati. Nel Goggiam, le guarnigioni più piccole, non difese in siffatta maniera, erano
state spazzate via dall’onda nemica.
Alla fine del maggio 1939, Amedeo di Savoia aveva reso noto a Teruzzi e a Mussolini il
progetto di diminuire considerevolmente il numero dei presìdi nel territorio dell’Amara,
in seguito alla nuova organizzazione voluta dal governatore Frusci, con lo scopo di elimi-
nare quelli in cui le condizioni di vita della truppa erano “malagevoli ed avere alla mano
forze mobili da fare percorrere territori sostando ogni località” . Nel giugno di quell’anno
458
Teruzzi aveva fatto sapere che il Duce era contrario al ritiro e allo sgombero della maggior
parte di essi perché il tutto “avrebbe dato impressione alle popolazioni di un nostro ab-
bandono del territorio ; Frusci di contro aveva risposto con una relazione riassuntiva che
459
potesse far comprendere realmente gli estremi della situazione : bisognava adattare anche
460
i fortini alla nuova situazione politico-militare. In tutta l’Amara erano infatti dislocati,
ancora a gennaio, ben 93 presìdi, molti dei quali semi-abbandonati e in zone considerate
“decisamente ribelli”. Quegli avamposti sarebbero serviti a controllare il territorio, a far
456 Tel. n. 10711, firmato Nasi del 23.12.1936, AUSSME, Fondo D-6, DS 169.
457 Tel. n. 793, firmato Graziani a Lessona del 29.9.1937, ACS, FG, scatola 36, fascicolo 31, sottofasci-
colo 7.
458 Tel. n. 9636, firmato Amedeo di Savoia del 25.5.1939, AUSSME, Fondo L-14, busta 111.
459 Tel. n. 15564/S., firmato Teruzzi del 26.6.1939, AUSSME, Fondo L-14, busta 111.
460 Tel. n. 6865/OP., firmato Frusci del 2.8.1939, AUSSME, Fondo L-14, busta 111.
Capitolo seCondo