Page 165 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Il RegIo eseRcIto e le opeRazIonI dI polIzIa colonIale In afRIca (1922-1940) 165
“sentire” la presenza italiana e, soprattutto, a stringere relazioni con le popolazioni locali .
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In realtà non si era riusciti ad attuare nulla di ciò, proseguiva con realismo Frusci, ag-
giungendo che essi “erano prigionieri di se stessi e del muro difensivo che li proteggeva dalle
offese immediate” . Intorno a questi presìdi, come se non bastasse, si erano agglomerati
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nel corso dei mesi e degli anni, con l’intento di ottenere protezione , gruppi di persone
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diverse fra loro, fra cui anche, Frusci non si sentiva di escluderlo, mogli, figli e parenti degli
stessi ribelli. L’unica incontestabile verità era che i presìdi in questione non solo non servi-
vano a nulla, ma rappresentavano una spesa viva e una preoccupazione non da poco. Frusci
proseguiva con una stoccata a Roma: “Solo l’ignaro, guardando una carta a grande scala,
poteva, dalla apparente fitta rete di presidi, illudersi sulla estensione del nostro dominio e
sulla efficacia del nostro possesso” .
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Le unità erano diminuite, il bilancio era quello che era, venti di guerra ormai rendevano
sempre più pressante il problema dell’adeguamento dell’Italia agli altri eserciti occidentali:
la revisione dei presìdi dell’Africa Orientale era stato un atto dovuto. Frusci aveva riordi-
nato la rete presidiaria secondo le due classiche caratteristiche degli avamposti: a carattere
presidiario e statico; e a carattere mobile e dinamico, con la consapevolezza che un presidio
isolato, in una terra priva di “punti obbligati di passaggio”, non poteva certo assolvere alle
funzioni dei forti in Europa, “né per virtù intrinseca della guarnigione che ospita, né per
l’appoggio che può fornire alle forze mobili” .
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461 Ibidem.
462 Ibidem.
463 Curzio Malaparte scrisse a riguardo di una sua conversazione con il capitano Renzulli, del 9° batta-
glione: “[...] – Ma è un paese deserto – dico al Capitano Renzulli. – E’ più giusto dire che è abbando-
nato. – mi risponde. Sono le bande di sciftà che costringono le popolazioni a fuggire, a rifugiarsi col
loro bestiame sotto la protezione dei nostri fortini e dei nostri campi”. Cfr. C. Malaparte, Viaggio in
Etiopia e altri scritti africani, op. cit., pp.112-113.
464 Tel. n. 6865/OP., firmato Frusci del 2.8.1939 AUSSME, Fondo L-14, busta 111.
465 Ibidem.
Archivio Stella. Anni Trenta in AOI.
Cavalleria indigena in marcia verso lo Sciré