Page 275 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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La 2 armata e Le operazioni di controguerrigLia in JugosLavia (1941-1943) 275
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organico ed efficace per stroncare o, quanto meno, neutralizzare e contenere l’attività dei
partigiani pur tenendo nel dovuto conto che per vincere la guerriglia occorre molto tempo
e che essa in genere si risolve più facilmente con l’azione politica che con quella militare;
l’errore di aver armato l’esercito croato”.
A livello politico si suggerivano decisioni importanti, forse anche troppo drastiche e
pertanto di difficile realizzazione, come la sostituzione di Pavelic con Macek, la ridefinizio-
ne dei confini, l’istituzione, come aveva fatto la Germania, di una moneta d’occupazione,
la nomina, per l’unità di direttive, di un unico governatore per tutto i territori annessi
all’Italia, l’abolizione, per la durata della guerra, della struttura politica o quanto meno, il
suo snellimento, l’affidamento all’autorità militare di tutte le questioni riguardanti la difesa
e la sicurezza del territorio.
Il comando d’Armata cercò di spingere i reparti dipendenti ad una maggiore iniziativa
operativa, in particolare la divisione “Bergamo”, di presidio nella provincia di Sebenico, che
dava segni di scarsa combattività . Nonostante l’esperienza fatta dal VI Corpo d’Armata
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in febbraio in val Narenta, il comandante del XVIII Corpo non aveva ancora provveduto
a costituire un potente complesso di forze di riserva, perseverando nella frammentazione
del proprio dispositivo in distaccamenti di piccola entità destinati essenzialmente a compiti
statici. Dei circa 35 mila uomini a disposizione, la quasi totalità era impiegata nei presidi,
mentre la riserva mobile per far fronte ad improvvise emergenze era di soli due battaglioni.
Il progressivo esaurirsi della spinta italiana nella ex-Jugoslavia a partire da 1943 è testi-
moniato, oltre che dal rimpatrio di varie unità, dal ritiro verso la costa delle rimanenti e da
un atteggiamento spiccatamente difensivo, anche dall’adozione di disposizioni meno rigide
e punitive verso i ribelli e le popolazioni che li favorivano. Nell’aprile del 1943 Supersloda
richiamò i comandi dipendenti ad una applicazione più blanda e meno severa dell’istituto
della rappresaglia, arma “oltremodo delicata” . Sempre nel 1943 fu attentamente valu-
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tata la proposta del comandante del XVIII Corpo d’Armata di abbandonare il sistema
degli internamenti e delle rappresaglie a favore di misure meno brutali come, ad esempio,
l’espulsione di indiziati o sospetti favoreggiatori con le loro famiglie ed il trasferimento in
Italia, quali lavoratori coatti, di disoccupati e altri indigenti, potenziale bacino di recluta-
mento del movimento partigiano. Secondo il generale Umberto Spigo, infatti, “l’esperienza
ha dimostrato che le rappresaglie, nei modi finora praticati, o non conseguono lo scopo,
o lo raggiungono attraverso odi e risentimenti deprecabili per altro verso. Lo stesso vale
per i provvedimenti di rigore (internamento) a carico di familiari di chi passa ai ribelli” .
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Dopo attento esame, le proposte furono però entrambe rigettate per il rifiuto del governo
769 Foglio n. 56/CSM in data 28 giugno 1943, Spirito offensivo delle truppe del C. d’A., Comando 2ª Ar-
mata – Il Comandante. La Divisione “Zara”, invece, manteneva il controllo del territorio posto sotto
la propria giurisdizione, rintuzzando a sufficienza gli attacchi dei partigiani.
770 Foglio n. 5053/AC in data 20 aprile 1943, Rappresaglie, Comando Superiore FF.AA. “Slovenia-Dal-
mazia” – Ufficio Affari Civili.
771 Foglio n. 2044/OP. in data 6 febbraio 1943, Repressioni contro i sabotaggi e contro l’esodo in campo ri-
belle, Comando XVIII Corpo d’Armata. Spigo rilevò come l’impiego di manodopera tratta dai terri-
tori occupati dell’est Europa era pratica ampiamente attuata in Germania.

