Page 29 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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GuerriGlia e controGuerriGlia nell’italia meridionale. il Grande briGantaGGio post-unitario (1860-1870) 29
mento constava di una carabina a retrocarica modello Delvigne, più leggera e di maggiori
prestazioni in gittata e precisione. La cavalleria era armata di moschetto, pistola, sciabola
(lancia per la cavalleria pesante); l’artiglieria, che trovò applicazione efficace solo per l’asse-
dio di Gaeta, era dotata dei nuovi obici da 170 mm. rigati e a retrocarica sistema Cavalli.
Nel corso della campagna contro il brigantaggio tale arma fu impiegata saltuariamente, in
alcuni settori della frontiera pontificia e in Basilicata. Gli ufficiali erano armati di sciabola.
Solo nel 1863 furono distribuite ai reggimenti operanti nel napoletano le carabine a
retrocarica, inizialmente accolte con una certa ostilità, in quanto modificavano sostanzial-
mente l’armamento tradizionale e anche i criteri d’impiego di dette unità.
Per assicurare una maggiore scioltezza e capacità reattiva alle truppe, il generale Pallavi-
cini dispose con successive circolari che per gli ufficiali fosse sostituito alla sciabola, “arma
inutile e incomoda per chi deve perseguire i briganti”, il revolver o il fucile da caccia; men-
tre per la truppa prescrisse “di portare al seguito il munizionamento da guerra quanto basta
a far fronte a qualsiasi eventualità (20-30 cartucce al massimo)” .
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L’equipaggiamento riflette la mentalità del tempo, inadatta al tipo di conflitto; basti
pensare che la “tenuta da brigantaggio”, a mente del Regolamento di Disciplina e del Re-
golamento per le truppe in campagna, comprendeva cappotto, chepì, zaino, coperta da
campo, fucile, munizionamento, per un peso complessivo di oltre 30 kg.; mentre gli ufficiali
indossavano l’uniforme con le spalline . Successivamente, l’esperienza maturata sul campo
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indusse a correggere molti errori, anche se spesso i regolamenti, a cui però i comandanti non
aderirono, rimasero invariati. L’evoluzione dei procedimenti operativi dell’esercito italiano
fu accompagnata da sostanziali innovazioni nell’organizzazione e nel funzionamento dei
servizi logistici, superando in questo campo radicati pregiudizi di carattere formalistico.
In particolare, si avvertì la necessità di fondamentali cambiamenti nel vestiario e nell’e-
quipaggiamento del soldato, in quanto quello sancito dalla regolamentazione in vigore era
ingombrante, non confortevole, e tale da impedire ogni elasticità di movimento e capacità
di immediata reazione. Si legge in un saggio d’epoca: “[…] I tormenti maggiori (durante le
marce) erano il Kepy, lo zaino, il cinturino e le scarpe” . Non si salvava neppure l’unifor-
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me degli ufficiali, inadatta a combattere una guerra per bande e a muovere in terreni aspri
e boscosi, anche se in certi casi furono dispensati dal portare le spalline, non tanto per un
criterio di ordine pratico, bensì per non dare a quelle operazioni il carattere di una campagna
nazionale.
La necessità di sostanziali cambiamenti ai rigidi regolamenti del tempo era avvertita da
alcuni comandanti che apportarono d’iniziativa propria le opportune modifiche all’unifor-
me del soldato. Così fra il 1861 e il 1862 il generale Govone, comandante delle truppe alla
frontiera pontificia, ordinò che durante i servizi esterni il cappotto fosse portato a tracolla
28 Cfr. luiGi tuccari, Memoria sui principali aspetti tecnico operativi della lotta la brigantaggio dopo l’u-
nità (1861-1870), op. cit., p. 236.
29 Ibidem, p. 121.
30 Cfr. G. dal pozzo, Conferenza sulla scuola di guerriglia per un ufficiale del 2° rgt. Granatieri, Torino,
Ed. Candeletti, 1871.