Page 34 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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34 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
armati solo di sciabola e pistola - ed eventualmente caricando con la baionetta . Furono
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organizzate, in via sperimentale, pattuglie di bersaglieri montati : l’esperimento, che non
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diede grandi risultati, cessò, quando il generale Gustavo Mazè de la Roche, a seguito di una
sua relazione al Ministero delle Guerra espresse parere contrario .
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Il problema del brigantaggio si era già manifestato in tutta la sua gravità nel 1799, nel
1806, e nel 1820. Gli inglesi lo avevano sfruttato nella lotta contro i francesi durante le
guerre napoleoniche, ed era pertanto prevedibile che Francesco II in esilio nello Stato pon-
tificio tentasse di riappropriarsi del trono con lo stesso mezzo, avvalendosi cioè dei briganti
per scatenare la guerriglia che, dunque, nel 1860 non poteva essere una novità. La stessa
letteratura militare europea del periodo offriva numerosi testi sull’argomento .
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Ordinamento
La struttura organica delle unità di fanteria era massiccia, compatta, e perciò poco ido-
nea ad un impiego frazionato delle forze per compiti autonomi. L’esercito piemontese era
entrato nel napoletano con l’Ordinamento Fanti che prevedeva battaglioni su 6 compagnie
di 150 uomini ciascuna per un totale di 900 uomini. Questo complesso, pesante e difficile
da comandare, fu poi alleggerito, pur rimanendo concettualmente ancorato alle dottrine
del tempo, con la riforma Petitti del 1862 che prevedeva l’impiego di battaglioni su 4 com-
pagnie. Il reggimento di cavalleria passò da 6 a 4 squadroni di 150 uomini; la cavalleria
rimaneva basata sulla forza d’urto della carica e non veniva ancora impiegata in compiti
esplorativi, ed altresì costretta, almeno in parte, ad un impiego su terreno montuoso e
boscoso, non diede risultati soddisfacenti; al contrario fu efficace per contrastare le grandi
bande che infestavano le pianure della Capitanata e l’altopiano delle Murge; la soluzione
migliore, dal punto di vista della dottrina dell’impiego fu comunque la cooperazione con
le armi appiedate, poiché in tal modo la cavalleria sopperiva alla scarsa potenza di fuoco,
essendo ancora legata quasi esclusivamente all’uso di armi bianche come sciabola e lancia.
41 Cfr. Ferruccio Botti, Il pensiero militare e navale italiano dalla rivoluzione francese alla prima guerra
mondiale (1789-1915), op. cit., p. 177.
42 Cfr. edoardo Scala, Storia delle fanterie italiane, Vol. VII - I bersaglieri, SME - Ispettorato dell’Arma
di Fanteria, Roma, 1954, p. 129.
43 Cfr. ceSare ceSari, in Bollettino dell’Ufficio Storico, Anno IV – 1929, Ufficio Storico, Roma, 1929, p.
110.
44 Von Decker, Duhesme, von Brandt, e le “istruzioni da campo” di Radetzky. Per l’Italia possono essere
citate le opere di C. Bianco (Dalla guerra nazionale e di insurrezione per bande applicata all’Italia e il
Manuale pratico del rivoluzionario italiano), ma anche gli scritti di Mazzini e di Guglielmo Pepe. Cfr.
p. G. FranzoSi, La Campagna contro il Brigantaggio meridionale post-unitario, op. cit., p. 79.
Capitolo primo