Page 35 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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GuerriGlia e controGuerriGlia nell’italia meridionale. il Grande briGantaGGio post-unitario (1860-1870) 35
Addestramento
Al momento dell’ingresso nel meridione le truppe italiane non ricevettero nessun ad-
destramento specifico al movimento e al combattimento nei boschi e in montagna, né al-
cuna istruzione che valorizzasse l’iniziativa individuale e l’ordine sparso. La vita dei reparti
era scandita da numerosi e complicati regolamenti, intesi ad assicurare la salda disciplina
dell’organismo militare e la rigida osservanza degli ordini superiori; come scrive Allodi “la
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massa dei Quadri era sempre in attesa di ordini” . La preparazione dei bersaglieri era in-
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vece diversa : essi rappresentarono unità di massimo rendimento nel particolare ambiente
operativo. Il livello culturale dei Quadri era in genere mediocre: la vita intellettuale degli
ufficiali si limitava alla lettura dei regolamenti, da parte del più esperto fra i capitani; a ciò si
aggiunga che molti comandanti di reparto non conoscevano il territorio napoletano; alcuni
ufficiali non sapevano distinguere la Basilicata dalla Capitanata, e non avevano alcuna co-
gnizione degli usi e costumi delle popolazioni autoctone; la maggior parte di loro, inoltre,
considerava i briganti alla stregua di criminali comuni .
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Organizzazione di Comando
Il rigido formalismo del tempo vincolava l’azione direttiva dei comandanti di reparto,
anche nei servizi di distaccamento.
Il servizio informativo, altro settore di primaria importanza nella lotta al brigantaggio,
era devoluto ai comandi territoriali dei carabinieri nella loro duplice veste di polizia mili-
tare e civile; anche se i militari dell’Arma, oltre allo scarso numero, erano per la maggior
parte di provenienza settentrionale, perciò inseriti poco e male nel contesto territoriale e
considerati dalla popolazione elementi stranieri ed ostili; di qui la necessità, per i comandi
militari, di appoggiarsi alla guardia nazionale. In definitiva, l’attività informativa fu carente
45 Cfr. A. allodi, Reminiscenze di un ufficiale subalterno del 49° reggimento fanteria Parma (1859-1863),
Napoli, Tip. E. Fazi, 1901.
46 Alessandro della Marmora, allora capitano di fanteria, già nel 1831 lamentava il fatto che il soldato
piemontese non sapesse tirare con il fucile, né tantomeno manovrare; divenuto conoscitore esperto
delle fanterie, in virtù dei suoi viaggi in Europa (Francia, Austria e Prussia), arrivava alla convinzio-
ne che le formazioni in ordine chiuso, retaggio delle campagne napoleoniche e su cui si basavano an-
cora i regolamenti e le istruzioni in vigore in Piemonte, non fossero più compatibili con il progresso
tecnologico delle armi che altresì imponeva formazioni tattiche meno vulnerabili, che lasciassero ai
singoli combattenti la possibilità di impiegare al meglio le armi, che facilitassero il movimento anche
nei terreni accidentati, e limitassero anche le perdite. Egli concretò così le sue idee nella Proposizione,
che indirizzò al Ministro della Guerra, al fine di costituire una speciale compagnia di Cacciatori, che
avrebbero dovuto chiamarsi Bersaglieri per il miglior armamento e per l’abilità nel tiro sviluppata da
un efficace e costante addestramento. Nacque così un soldato scelto, addestrato con cura particolare
al combattimento, alla ginnastica, alle marce celeri, ed animato da spirito di emulazione a da grandi
energie morali. Cfr. edoardo Scala, Storia delle fanterie italiane, op. cit., pp. 4-5.
47 Cfr. luiGi tuccari, Memoria sui principali aspetti tecnico operativi della lotta al brigantaggio dopo l’u-
nità (1861-1870), op. cit., pp. 211-212.