Page 296 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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296 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
Fin dal primo manifestarsi di azioni terroristiche e di attacchi partigiani nell’estate del
1941, emerse il dissidio tra l’Alto Commissario ed il generale Robotti sui metodi per il
mantenimento dell’ordine pubblico. Se Grazioli aveva un atteggiamento più comprensivo
verso le aspirazioni slovene, l’autorità militare era più diffidente, intenzionata a rispondere
immediatamente a eventuali atti violenti. Grazioli, in generale, tentò di tenerere fuori i mi-
litari dalle questioni di pubblica sicurezza e di giustizia, adottando nel settembre 1941 una
serie di provvedimenti quali l’istituzione di un tribunale straordinario civile, l’introduzione
dell’invio al confino degli elementi giudicati politicamente pericolosi, l’emanazione di un
bando per punire gli attentati alle forze militari e di polizia italiane e la propaganda di idee
sovversive .
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Lo scontro tra i vertici politico e militare della provincia fu originato e alimentato dalle
non ben chiare disposizioni di legge che regolavano le questioni di pubblica sicurezza e l’o-
perato delle forze di polizia. Lo stato giuridico concesso alla Slovenia italiana con il regime
di annessione imponeva dei vincoli all’azione delle truppe dell’Esercito che, in mancanza
di dichiarazione dello stato di guerra, dovevano coordinarsi con l’autorità politica nelle
operazioni di controllo del territorio. I militari non intendevano però sottovalutare gli
episodi che sotto forme diverse tendevano a screditare l’autorità italiana nella provincia
occupata. L’atteggiamento conciliante dell’Alto Commissario, infatti, non era certo stato
corrisposto dalla popolazione, che probabilmente vi vide un segno di debolezza. Il generale
Robotti, e con lui i vertici della 2ª Armata, fin dall’estate 1941, cominciarono, perciò, a
non trovarsi d’accordo con la linea politica di Grazioli, ritenuta troppo “morbida” e non
adeguata al comportamento sempre più ostile di larga parte della popolazione slovena, so-
prattutto quella nei principali centri urbani . Mentre quindi le autorità civili puntavano
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a risolvere la situazione con misure politiche e di polizia, i comandi militari erano convinti
che occorresse adottare provvedimenti molto più drastici per sedare l’insorgenza. In palio
c’era anche la direzione delle operazioni di controguerriglia che l’Alto Commissario tentò
sulle prime di arrogarsi, impiegando autonomamente, e spesso senza il concorso dell’eserci-
to, le forze di polizia alle sue dipendenze, reparti dei CC.RR., della R.G.F., della Pubblica
Sicurezza e della M.V.S.N., come accadde nel rastrellamento dei massicci del Krim e del
Mokrec di fine settembre 1941. Nonostante il fallimento dell’operazione e l’aggravarsi della
situazione dell’ordine pubblico, Grazioli continuò a opporsi all’estensione dei poteri mili-
tari nella provincia, non ritenendo di considerare “zona d’operazioni” la Slovenia italiana
in quanto non vi era stata una dichiarazione formale in tal senso del Capo del Governo.
Come in Albania, già associata alla monarchia italiana, anche nella provincia di Lubiana
annessa al Regno d’Italia, considerazioni politiche e di prestigio ritardarono l’applicazione
814 Il bando del 13 settembre 1941 introduceva la pena di morte contro chi compiva azioni contro sol-
dati e poliziotti, era trovato in possesso di materiale sovversivo e partecipava a riunioni clandestine
collegate al movimento di resistenza.
815 Robotti era convinto di non potersi fidare degli sloveni: “[…] ci troviamo in un paese decisamente
ostile. Siamo cioè circondati da gente che odia gli italiani e che, anche quando non favorisce diret-
tamente questi attentati, accoglie con manifesta gioia il verificarsi degli stessi” (Verbale della riunione
tenuta dall’Ecc. Comandante il giorno 21 ottobre 1941 presso il comando XI C.A.).
Capitolo terzo

