Page 308 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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           gregari più determinati alle bande, le equipaggiava e vettovagliava, ospitava le stamperie
           clandestine. Lubiana era divisa in “rioni”, ognuno affidato a un comandante partigiano con
           il compito di ingaggiare, equipaggiare e avviare alle bande le nuove reclute e di eseguire i
           colpi di mano ordinati dal centro.
              Altra organizzazione sempre dipendente dall’O.F., era la cosiddetta “Difesa Nazionale”
           che aveva lo scopo di fiancheggiare e preparare l’azione delle bande neutralizzando le misu-
           re repressive. Doveva quindi nascondere i ricercati, aiutarli a evadere dalle carceri e ad uscire
           dalla cinta di Lubiana, distruggere carte compromettenti, sottrarre incarti e denuncie dagli
           uffici pubblici, falsificare documenti di riconoscimento, costituire magazzini segreti di vi-
           veri, equipaggiamenti, armi, munizioni, materiale sanitario, raccogliere fondi col ricorso
           anche alle minacce e all’intimidazione. Il contributo, sotto forma di tassa o di prestito, fu
           imposto perfino nei pubblici uffici dove un affiliato al movimento raccoglieva mensilmente
           il denaro, mentre nelle fabbriche e nei laboratori le raccolte erano settimanali.
              I ribelli si avvalevano di un vero e proprio servizio di spionaggio che utilizzava la presen-
           za di molto personale sloveno anche nelle branche più delicate della pubblica amministra-
           zione (pubblica sicurezza). Nei centri rurali era invece attiva l’organizzazione della “Difesa
           Contadina” che, mentre puntava a controllare con il terrore la massa dei contadini che non
           aderiva alla resistenza, teneva le bande al corrente della dislocazione e dei movimenti dei
           reparti italiani, provvedeva a rifornirle di viveri, manteneva il collegamenti, ne garantiva la
           sicurezza con un rete di vedette intorno alle loro basi operative. Le bande armate costituite
           dall’O.F. ricordavano molto le bande cetniche dell’esercito jugoslavo, i loro capi erano
           quasi tutti ex-ufficiali o sottufficiali e tra i gregari abbondavano gli intellettuali e i profughi
           dalla Slovenia tedesca. Con il tempo l’organizzazione partigiana diventò sempre più legata
           ideologicamente e politicamente all’ortodossia comunista che faceva capo a Mosca ma nel
           giugno del 1942, per guadagnare consenso tra la popolazione, direttive sovietiche imposero
           di dare un indirizzo unitario al movimento e carattere nazionale alla lotta contro l’invasore,
           eliminando ogni riferimento ideologico e politico: i partigiani dovevano presentarsi come i
           liberatori della nazione, parte di un fronte antifascista di liberazione nazionale senza carat-
           terizzazione politica e religiosa . Nel frattempo la lotta contro le truppe di occupazione, e
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           contro quelle popolazioni che per ragioni etniche, politiche e religiose non intendevano far
           causa comune con i partigiani, si faceva sempre più spietata.
              Il principale strumento di contenimento usato dagli italiani fu a lungo l’indagine inve-
           stigativa degli organi di polizia, affiancata da perquisizioni a tappeto e pattugliamenti stra-



           828 Foglio n. 02/5428OP. in data 17 giugno 1942, Notiziario del V Corpo d’Armata, Comando XI Corpo
              d’Armata – Ufficio Operazioni. Riguardo all’unificazione del movimento di liberazione, il documen-
              to catturato riferiva che: “Tutti i gruppi partigiani con i loro componenti della Croazia, Serbia, Slove-
              nia, Montenegro, Bosnia ed Erzegovina, Vojvodina, Dalmazia, Macedonia e Sangiaccato, dipendono
              direttamente dal comando superiore del gruppo partigiano di liberazione nazionale della Jugoslavia.
              Per coordinare la lotta e per l’efficace condotta delle operazioni i comandi debbono essere tra loro be-
              ne collegati”. In agosto il Komintern ordinò ai capi partigiani operanti in Jugoslavia di ridenominare
              le brigate proletarie “brigate d’assalto”. In novembre furono accolti nel comando partigiano sloveno
              un dirigente del gruppo cattolico e uno dell’organizzazione Sokol.

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