Page 320 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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320 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
te subite e nella necessità di ricostituire la propria organizzazione scompaginata dall’offen-
siva italiana, il comando partigiano ordinò alle bande di astenersi per un certo periodo da
operazioni di rilievo. Il 18 agosto fu emanato un bando che concedeva il perdono ai ribelli
che si fossero consegnati alle autorità italiane entro il 15 settembre. Lo stesso provvedimen-
to prevedeva la confisca dei beni mobili e immobili dei rivoltosi caduti in combattimento
o giustiziati e di tutti i maschi di età compresa tra 18 e 60 anni assenti senza giustificato
motivo dalla loro residenza abituale. I beni sequestrati sarebbero stati assegnati alle famiglie
che avevano avuto dei congiunti uccisi dai ribelli e ai collaborazionisti rimasti mutilati e in-
validi per mano partigiana. Lo stesso bando estese la pena di morte ai mandanti, complici
o favoreggiatori dei colpevoli di attentato alla sicurezza e integrità dello stato, insurrezione
armata, associazione e propaganda sovversiva, attentato all’incolumità di appartenenti alle
forze armate, attentato ai pubblici servizi.
Alla fine dell’estate, però, l’azione militare italiana perse progressivamente slancio, sia
per la stanchezza delle truppe impegnate continuamente da una zona all’altra della Slove-
nia, sia per la partenza della divisione “Granatieri di Sardegna” e di alcuni battaglioni tra-
sferiti in Croazia, sia per i considerevoli rinforzi giunti d’oltre confine alle bande partigia-
ne slovene ridotte a mal partito. Contribuì inoltre a far perdere slancio al ciclo “Primave-
ra” l’impiego di un numero crescente di reparti nel presidio dei territori appena rastrella-
ti, con conseguente contrazione della massa di manovra nonostante l’apporto delle bande
M.V.A.C. in via di costituzione. Secondo il servizio informazioni italiano, dei circa 4.500
partigiani stimati all’epoca nella provincia, almeno la metà erano croati, mentre molti degli
sloveni provenivano dalle zone sotto occupazione tedesca. L’operazione “Primavera” aveva
consentito una migliore conoscenza di un’organizzazione avversaria che richiedeva basi lo-
gistiche anche piuttosto complesse, i cosiddetti “santuari”, lontani dai grossi centri, in zone
boscose e isolate, ma con la possibilità di raggiungere piccoli centri dove rifornirsi del ne-
cessario. Nel territorio sottratto al controllo partigiano andavano immediatamente costi-
tuiti presidi di truppe, anche di ridotta consistenza, per tenere le bande lontane dai centri
abitati. I nuovi presidi furono costituiti attingendo alle masse di manovra, e il rafforzamen-
to della componente destinata a compiti statici anche a scapito della componente mobile
era motivata dalla tattica partigiana di lasciare che piccoli nuclei si lasciassero sopravanzare
per riorganizzarsi e tornare a infestare le zone appena rastrellate. Per far fronte a questa mi-
naccia fu ordinato di lasciare indietro, attestati a difesa in posizione dominante, dei reparti
capaci di sviluppare una notevole potenza di fuoco. La pronta costituzione di presidi a tergo
delle truppe avanzanti era poi finalizzata a garantire il controllo del territorio ed a prevenire
la riorganizzazione delle bande.
I successi riportati dagli italiani nelle prime fasi dell’operazione “Primavera”, insieme
con gli arresti e le deportazioni attuati a Lubiana, misero in crisi l’organizzazione partigia-
na. Le vigorose azioni di controguerriglia avevano per la prima volta dimostrato la deter-
minazione italiana a mantenere il controllo della provincia e a sconfiggere il fenomeno in-
surrezionale. Le violenze e le rappresaglie del “Fronte di Liberazione” sulle popolazioni che
si erano dimostrate remissive o simpatizzanti verso le autorità italiane, violenze che talvol-
ta non avevano risparmiato nemmeno i bambini, avevano fatto venir meno l’appoggio di
Capitolo terzo

