Page 42 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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42 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
gere un risultato che forse sarebbe stato possibile con sacrifici minori, attraverso una linea
politica diversa, probabilmente meno rigida. Quella che inizialmente era stata presentata
come una vasta operazione di ordine pubblico affidata al neonato esercito italiano, si rivelò
in realtà una campagna lunga e crudele . Furono commessi svariati errori, come quello di
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sciogliere l’esercito borbonico che avrebbe potuto contribuire all’edificazione del nuovo
Stato unitario ; furono liquidate, con il decreto dell’11 novembre 1860, le formazioni
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garibaldine, congedando così circa 30.000 volontari che avrebbero rappresentato la forza
più idonea a fronteggiare le bande reazionarie in operazioni di controguerriglia , in ultimo
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il nuovo Stato fu privato di elementi normalizzatori come i gruppi liberali più emancipati
e quelli di ispirazione democratica, dando così fiato all’insurrezione contadina . Fallace si
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rivelò pure il trattamento riservato al clero che lo alienò nei confronti del nuovo regime,
spingendolo su posizioni antiunitarie. Tutti questi fattori costituirono la scintilla che fece
esplodere la rivolta. Le conseguenze furono una guerra civile durata quasi 10 anni, il sacri-
ficio di migliaia di vite, un impegno sproporzionato alle già dissestate finanze dell’erario
pubblico e, infine, i danni incalcolabili per l’economia del meridione che allargarono il
divario, mai più sanato, tra l’economia del sud e quella del nord, gettando così le premesse
per quella che ancora oggi viene definita la “questione meridionale” .
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Sotto il profilo strettamente militare le ripercussioni furono numerose: fra queste, in
particolare, il notevole impulso impresso alla circolazione di idee per una più efficace con-
dotta delle operazioni di controguerriglia e proposte di radicali trasformazioni in campo
ordinativo, addestrativo, e logistico. Nel merito dell’ordinamento va ricordato che gli am-
maestramenti tratti dal periodo in esame sollecitarono nei quadri, anche di rango non
un fatto usuale. Cfr. Salvatore lupo, Storia d’Italia, Annali 18 Guerra e Pace, Torino, Einaudi, 2002,
pp. 468 e 470.
60 Cfr. p. G. FranzoSi, La Campagna contro il Brigantaggio meridionale post-unitario, op. cit., p. 71.
61 L’orientamento del Governo di Torino, dato dal Ministro della Guerra Fanti, in merito alle sorti
dell’esercito borbonico, fu senza dubbio inadeguato alle circostanze: i suoi componenti furono inter-
nati in campi di prigionia al Nord, e solo dopo la capitolazione delle ultime piazzeforti borboniche,
messi in libertà con facoltà di riprendere servizio nell’esercito nazionale, ma in tali situazioni sfavore-
voli che solo 6 generali su 50, poco più di 2.000 su quasi 4.000 ufficiali e soltanto 20.000 su 72.000
precettati tra soldati e sottufficiali, transitarono nell’esercito nazionale; mancarono cioè, anche in
questo campo, le premesse per una soluzione onorevole riguardo ai complicati problemi dell’eserci-
to, soluzione che si sarebbe potuta realizzare ricostituendo almeno parte di quelle unità borboniche
che avevano valorosamente combattuto, a fianco del Piemonte, contro l’Austria nel Veneto. Di fatto,
tali scelte ebbero gravi conseguenze sulla pacificazione nazionale contribuendo in maniera importan-
te all’espansione del brigantaggio. Probabilmente una politica meno rigida e di maggior rispetto del-
le tradizioni del dispositivo borbonico avrebbe reso meno drammatico l’inserimento dei suoi quadri
non solo nell’esercito nazionale, ma anche e soprattutto nello Stato unitario. Cfr. Luigi Tuccari, il
Brigantaggio nelle province meridionali dopo l’unità d’Italia (1861-1870), op. cit., pp. 62-66.
62 Ibidem
63 Cfr. daniela adorni, Il Brigantaggio, in “Storia d’Italia”, annali 12, La Criminalità, a cura di Lucia-
no Violante, Torino, Einaudi, 1997, pp. 283-319; in particolare p. 286.
64 Cfr. luiGi tuccari, Il Brigantaggio nelle province meridionali dopo l’unità d’Italia (1861-1870), op.
cit., pp. 217-219.
Capitolo primo