Page 91 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Il RegIo eseRcIto e le opeRazIonI dI polIzIa colonIale In afRIca (1922-1940) 91
del sole o della luna”. Per quanto riguardava il fuoco di fucileria e mitragliatrici, di notte la
distanza efficace si riduceva a pochi passi, anche perché dopo il tramonto venivano spenti
tutti i fuochi visibili da lontano . Come scriveva Graziani la tattica era soprattutto l’arte
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di vincere, adattandosi alle circostanze , e per questo l’ufficiale doveva essere istruito sia
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sul piano tecnico sia su quello culturale, sotto la spinta di motivazioni che dovevano andare
ben oltre il piano economico.
Guerriglia libica, controguerriglia italiana
Le azioni di disturbo più di frequenti condotte dagli insorti interessavano le linee di co-
municazione e in primo luogo le ferrovie, in Libia la tratta Tripoli-Azizia, in Etiopia quella
Addis Abeba-Gibuti . A questi attacchi si aggiungevano le razzie di comuni briganti che
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saccheggiavano le stazioni non appena se ne presentasse l’occasione, magari asportando
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anche le chiavarde per le rotaie, come accadde a Suani Ben Adem . Erano azioni che su-
scitavano nei vertici militari una reale preoccupazione: se un presidio fosse rimasto tagliato
fuori in un territorio così inospitale, la situazione avrebbe potuto sfuggire di mano, con
un danno d’immagine considerevole. Badoglio, non aveva mancato di considerare anche
questo aspetto, nel momento in cui aveva scritto ad Amendola che quando erano all’offen-
siva le colonne italiane si muovevano senza grandi difficoltà sul territorio, assicurandosene
il controllo in tempi relativamente brevi, mentre secondo i classici metodi della guerriglia
i ribelli entravano in azione soprattutto quando i presidi erano costretti a ripiegare e le co-
lonne erano quindi appesantite dai bagagli e dai civili: “[…] hanno sbarrato le carovaniere
nei punti obbligati di passaggio, interrati pozzi ed attaccato le nostre truppe, già per il fatto
di ritirarsi in condizioni morali e tattiche poco favorevoli, riuscendo spesso a disperderle e
a impadronirsi di prigionieri e delle agognate carovane” .
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Per capire come comportarsi era necessario trarre insegnamento non solo dalla propria
esperienza, ma anche dalla grande tradizione coloniale di molti Stati europei e dello stesso
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impero ottomano . C’erano regole da non dimenticare e una di queste era che quando si
parlava di Tripolitania si parlava in realtà di quattro zone molto diverse fra loro: la fascia
costiera da Zuara a Tagiura, l’area fra Homs e Misurata, la Sirtica e le regioni interne. Era
216 Comando colonna della Ghibla, Norme di Massima e prescrizioni, del 2 giugno 1928, AUSSME, Fon-
do L-8, busta 157, fascicolo 5.
217 Relazione sulla situazione ed avvenimenti nel sud tripolitano, primavera 1929, AUSSME, Fondo L-8,
busta 158, fascicolo 12.
218 In questo senso gli esempi sono numerosi, valga quello in ASMAI, Posiz. 122/27, Tripolitania, fasci-
colo 250, tel. n. 838, al governatore firmato Girardini del 3 febbraio 1922.
219 Tel. n. 364, a Girardini firmato Volpi del 9 febbraio 1922, ASMAI, Posiz. 122/27, Tripolitania, fasci-
colo 251. Volpi aveva mandato subito un treno blindato con reparti di carabinieri e zaptiè per rista-
bilire l’ordine e ripristinare la linea.
220 Missione in Tripolitania, ad Amendola firmato Badoglio del 1922, ASMAI, Posiz. 122/28, fascicolo
256.
221 Ibidem.

