Page 96 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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           greggi il loro patrimonio e che razziarne i capi significava ridurli sul lastrico . Proprio per
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           questo bisognava fare attenzione a non infierire sulle popolazioni sottomesse, come emerge
           da un telegramma del generale Taranto riguardo alla razzia perpetrata dal Gruppo del Ge-
           bel, “ben poco rilevante” in quanto “tutte le popolazioni Nuhail el Arbaa et Gefara fuggite
           verso Tarhuna si stanno sottomettendo et per ovvie ragioni non si possono spogliare” . I
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           gruppi sottomessi spesso non erano armati ed erano quindi una facile preda non solo per i
           comuni briganti, ma anche per gli insorti, che su di essa contavano per rifornirsi. Da ciò la
           necessità di proteggerli come ribadiva De Bono deprecando in proposito la scarsa reattività
           delle truppe . Il governatore prometteva che i gregari che fossero riusciti a recuperare il
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           maltolto avrebbero avuto un premio, ma evidentemente questo non era abbastanza: i guer-
           riglieri riuscivano quasi sempre a fuggire con la refurtiva .
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              Anche il generale Cicconetti si soffermava su questo problema, notando però che il
           servizio di caccia ai razziatori era migliorato per il fatto che da una vigilanza “tardiva” si
           era passati ad una “attiva, mobilissima, di ricerca continua [sic] non solo dei razziatori se-
           gnalati, ma dei probabili, dei soltanto possibili” . Il problema di fondo, però, rimaneva:
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           una volta agganciato l’avversario, non si riusciva ad eliminarlo e lo si lasciava fuggire. Per
           Cicconetti era incomprensibile che un reparto di cavalleria si facesse sfuggire dei predoni,
           e ribadiva che si poteva garantire la sicurezza delle popolazioni sottomesse solo con un’at-
           tenta sorveglianza e con una dura e immediata reazione nei confronti delle mehalle ribelli.
           Mezzetti non poteva che essere d’accordo e, rivolgendosi ai comandi della zona est della
           Tripolitania, specificava che l’attività di ricognizione avrebbe dovuto essere coperta dalla
           massima segretezza, così come i movimenti delle truppe. Dal momento che i razziatori
           provenivano per lo più da regioni limitrofe a quelle già occupate, lo scopo doveva essere
           quello di tagliare loro la via della ritirata, con l’intervento dei reparti distribuiti nei presidi
           che, non appena avvertiti, avrebbero dovuti uscire per intercettarli .
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           La rete presidiaria

              Il tema della rete presidiaria, quando si parla di operazioni di controllo del territorio,
           come quelle di controguerriglia, è un punto fondamentale. Nel giugno del 1920, dopo


           234 ottorino Mezzetti, Guerra in Libia. Esperienze e ricordi, op. cit., p. 21.
           235 Tel. n. 1047 R.S. dell’8 febbraio 1923 al Gruppo Msellata, AUSSME, Fondo L-8, busta 154, fasci-
              colo 18. Nel 1924 il maggiore Volpini scriveva: “[…] Ho lasciato razziare grotte et case fuoriusciti
              facendo rispettare proprietà altri abitanti gente miserabile et innocua”, come in tel. n. 28 M., al gene-
              rale Graziani, firmato maggiore Volpini del 13 febbraio 1924, ACS, FG, scatola 2, fascicolo 4, sotto-
              fascicolo 1.
           236 operazioni di polizia, n. 5108 del 7 luglio 1926, AUSSME, Fondo L-8, busta 155, fascicolo 14.
           237 N. 1349 P.M. del 28 luglio 1926, AUSSME, Fondo L-8, busta 155, fascicolo 14.
           238 Prevenzione e repressione delle razzie, n. 7280 del 22 settembre 1926, AUSSME, Fondo L-8, busta
              155, fascicolo 14.
           239 Ricognizioni, Polizia, previsione e repressione delle razzie, n. 2801 del 20 settembre 1926, AUSSME,
              Fondo L-8, busta 155, fascicolo 14.

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