Page 99 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Il RegIo eseRcIto e le opeRazIonI dI polIzIa colonIale In afRIca (1922-1940) 99
pensiero del generale Mombelli, era del parere che questa struttura dovesse essere snellita,
mantenendo però e semmai aumentando i “perni di manovra” e i punti d’appoggio, stru-
mentali per l’azione dei reparti mobili . Il ministro Pietro Lanza di Scalea rispondeva però
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al capo di stato maggiore generale facendogli notare che la rete dei presidi era l’inevitabile
risultato dell’assetto politico esistente e dei problemi causati dalla guerriglia senussita. Il
punto era che la maggior parte delle cabile sparse sul territorio, ostili o sottomesse, erano
armate fino ai denti a differenza di quelle della Tripolitania . C’era ancora molto da fare e
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bisognava innanzitutto procedere a una seria opera di disarmo, prima di poter riorganizzare
la rete presidiaria.
Chi aveva certamente idee molto chiare sulla gestione dei presidi e dei fortini era il
generale Mezzetti che individuava in questi un elemento fondamentale per il successo delle
operazioni, sottolineandone il grande valore tattico a cui molti non credevano. La sua idea
era che in colonia difendersi soltanto fosse pericoloso, bisognava prendere l’iniziativa e at-
taccare per primi, ma una colonna appesantita da giornate di acqua, viveri e munizioni non
poteva avere l’agilità e la velocità che sarebbero state necessarie . Per riuscirvi le colonne
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dovevano muoversi in un territorio logisticamente organizzato, a seguito della conquista.
I fortini avevano allora la funzione di permettere alle colonne di rifornirsi di acqua, viveri
e munizioni, di sostare in condizioni di sicurezza, di alleggerirsi di feriti e malati. Questi
capisaldi logistici, presidiati da una trentina di uomini armati con mitragliatrici e qualche
pezzo di piccolo calibro, dovevano poter essere costruiti rapidamente con “materiali dispo-
nibili sul posto, con un po’ di reticolato e di materiali di copertura” , con un impegno
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minimo di risorse dal momento che esaurito il loro compito sarebbero stati distrutti. Anche
così erano un ostacolo di tutto rispetto per il nemico che si guardava bene “dal cacciarsi in
reticolati battuti dalle mitragliatrici” . Quattro o cinque fortini, assorbendo all’incirca la
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forza di una mezza compagnia indigena e di un plotone di nazionali, coprivano una vasta
area dando alle operazioni “una grande scioltezza”.
Un caso esemplare è quello dell’occupazione di Buerat el Hsun, il punto di approdo più
riparato fra Tripoli e Bengasi, che per Mezzetti era la base di partenza ideale da cui muovere
contro Ibrahim Sceteui . Durante il dominio turco nel centro urbano si trovava la resi-
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denza dell’autorità politico-militare con una guardia d’onore, mentre la guarnigione era di
stanza nelle vicinanze, al di fuori dell’abitato. Al riguardo il generale faceva notare che “[…]
Questa consuetudine buona per i turchi, sarebbe stata ottima per noi che avremmo dovuto
ovunque seguirla. È opportuno infatti che le forze del dominatore evitino ogni promiscuità
di vita con la popolazione dominata, fino a che non avvenga quel processo di adattamento
246 Sistemazione difensiva della Colonia, al Governo della Cirenaica e al ministro delle Colonie, n. 284
Riservatissimo del 27 settembre 1926, AUSSME, Fondo L-8, busta 188, fascicolo 3.
247 Sulla sistemazione difensiva, n. 602 RR del 27 ottobre 1926, AUSSME, Fondo L-8, busta 188, fasci-
colo 3.
248 ottorino Mezzetti, Guerra in Libia. Esperienze e ricordi, op. cit., p. 123.
249 Ibidem, p. 124.
250 Ibidem.
251 Ibidem, p. 128.

