Page 86 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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86 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
bile, se non nelle oasi, trovare combustibile da ardere nelle notti gelide , le dune mobili
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ostacolavano l’orientamento e limitavano i movimenti. Era quindi fondamentale ridurre al
minimo le esigenze, anche di acqua e munizioni, tenendo presente che fare troppo affida-
mento sui rifornimenti avrebbe potuto essere fatale.
Non va dimenticato che già nel 1921 alcuni ufficiali superiori avevano ben chiari i
principi da applicare nelle operazioni coloniali. Ottorino Mezzetti, ad esempio, nel maggio
di quell’anno, nella sua relazione sulla ricognizione eseguita su Bir el-Ghnem, si soffermava
sulla formazione di marcia adottata . E’ molto probabile che Mezzetti abbia letto le trat-
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tazioni a riguardo del visconte di Wolseley, grande soldato britannico e teorico di guerra co-
loniale, il cui pensiero si fondava su un importante punto di partenza che, inevitabilmente,
gli italiani faranno proprio con gli anni e l’esperienza: le formazioni andavano conformate
alla natura del nemico, al suo modo di combattere, alla morfologia del territorio .
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Qualunque fosse la soluzione adottata, essa doveva garantire la protezione del convoglio
con i rifornimenti, fondamentale per la sopravvivenza del reparto. Secondo l’impostazione
tradizionale le truppe si disponevano attorno al convoglio in quadrato o a losanga, ma
Mezzetti, sulla base della propria esperienza, non si trovava d’accordo: quelle formazioni
legavano le truppe alla carovana limitandone la libertà di manovra e trasformandole a loro
volta in un bersaglio . Aveva quindi preferito articolare le sue forze in due scaglioni, uno
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di combattimento e uno di scorta al convoglio , mirando sempre a fare in modo che
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l’intera colonna potesse passare alla formazione di combattimento rapidamente e in modo
da far fronte all’attacco da qualunque direzione provenisse. In colonia infatti non si poteva
prevedere da dove sarebbe arrivato il nemico . Nella marcia subito dopo il comando do-
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veva venire l’artiglieria, con la cavalleria sui fianchi, a svolgere il servizio di esplorazione e
sicurezza, e più lontano seguiva la carovana dei rifornimenti, con pattuglie ad assicurare il
collegamento fra i due scaglioni. Le colonne andavano mosse e utilizzate in relazione alla
necessità, ma generalmente le soluzioni più praticabili erano due:
- la colonna agisce sull’obiettivo col peso di tutta la sua potenza di movimento e fuoco
e partecipano tutti gli elementi che la compongono;
- l’obiettivo viene raggiunto da aliquote di forze distaccate dalla colonna che il co-
193 Notizie sommarie sul territorio occupato dalle mehalle ribelli fronteggianti il settore di Tripoli, s.n., s.i.d.,
AUSSME, Fondo L-8, busta 171, fascicolo 11.
194 Relazione della ricognizione su Bir Ghenem, firmato com. interinale delle truppe col. Mezzetti, tel. n.
3069 R.S. del 31 maggio 1921, AUSSME, Fondo L-8, busta 154, fascicolo 1.
195 Sul concetto della formazione, soprattutto durante lo scontro, è fondamentale leggere il pensiero di
Garnet Joseph Wolseley, grande esperto di campagne coloniali, come Sulla costituzione dei piccoli cor-
pi di spedizione e sul modo di combattere contro nazioni selvagge, Estratti da Soldier’s pocket-book for field
service del Generale visconte di Wolseley, 1900, AUSSME, Fondo L-7, busta 61, fascicolo 4.
196 ottorino Mezzetti, Guerra in Libia. Esperienze e ricordi, op. cit., p. 52.
197 Ibidem, p. 53. Unico vincolo: che il loro gagliardetto, vicino di solito al comandante del reparto, si
mantenesse a una distanza non superiore ai 500 metri dal gagliardetto del comando della colonna un
intervallo di 500 metri.
198 Ibidem.
Capitolo seCondo

