Page 193 - 8 Settembre 1943-25 aprile 1945 - La Resistenza dei Militari in Italia: un lungo percorso sino alla vittoria finale
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CAPITOLO SECONDO



           Secondo le precise direttive di Caruso, il primo Raggruppamento doveva vigilare nel perimetro della propria
           giurisdizione, per essere tutti pronti, al momento opportuno a ripristinare le stazioni, che erano state già
           virtualmente costituite in clandestinità, e pronte a occupare obiettivi particolari come il Campidoglio, i mini-
           steri, il Parlamento, il Senato, e le banche e presidiarli in modo che rimanessero in mani italiane; il Raggrup-
           pamento Mobile doveva, in un primo tempo, concorrere al presidio degli obiettivi indicati dal Territoriale,
           aiutati anche da altre forze o bande armate e soprattutto tenere anche sotto stretta vigilanza i numerosi ponti
           sul Tevere, per impedirne la distruzione da parte dei tedeschi in ritirata.
           Di fatto Caruso non solo assunse la direzione e il coordinamento del Fronte Clandestino Carabinieri ma an-
           che il comando delle ‘bande’, organizzando così le fila di altri 1.800 militari di tutte le Armi, alcuni dei quali
           si erano inseriti nei reparti che erano ai suoi ordini diretti ma si tenevano collegati con le altre formazioni
           clandestine delle quali facevano ancora parte.
           Il piano ‘organizzativo e d’impiego’ era ben chiaro: lotta ai tedeschi e ai fascisti della Repubblica Sociale;
           reperimento di armi per dotarne la forza radunata, cercando di incrementarla; intensificazione di atti di sa-
           botaggio, in ogni zona della città dove fosse possibile attuarli con grave danno delle truppe d’occupazione.
           Per quanto riguardava l’armamento dei suoi uomini, il 60% del personale scampato alla deportazione aveva
           conservato le armi di dotazione individuale. Non mancavano ‘oculati servizi informativi’ di reparto, per
           assistere i Patrioti nelle loro azioni di sabotaggio, previste anche per l’Arma in clandestinità.
           Caruso aveva assegnato compiti specifici dettagliati ai raggruppamenti territoriali e mobili da lui inquadrati.
           Con la professionalità maturata in decenni di vita militare, riuscì a compattare gli elementi dell’Arma pre-
           senti in Roma, prenderne il comando e dare direttive sui compiti da svolgere, proprio applicando quella
           circolare del Comando Supremo, emanata il 10 dicembre 1943, la 333/OP relativa all’organizzazione e alla
           condotta della guerriglia.
           Nel gennaio 1944 la sua organizzazione era divenuta efficiente … in meno di due mesi. Ricorda Caruso che,
           però, di fronte a una formazione numerosa, ben organizzata e ben armata, i partiti politici si erano sempre
           più allarmati. Dalle sue memorie si evince chiaramente che riteneva assolutamente controproducenti per la
           liberazione del Paese le lotte politiche e l’ingerenza degli stessi partiti nella lotta armata da lasciare, secondo
           lui, solo ai ‘tecnici’ del mestiere.
           Gli angloamericani si stavano avvicinando a Roma (sbarcando a Anzio il 23 gennaio 1944), infondendo
           speranza, nuova vitalità e attivismo nel Fronte e nei suoi comandanti; in primis in Caruso che vedeva con-
           cretarsi le sue previsioni sull’andamento del conflitto.
           Le notizie sulla efficiente costituzione di un Fronte Clandestino di Resistenza dell’Arma erano ormai
           circolate anche fra i nazisti che continuarono a arrestare membri del Fronte, tra i quali Frignani, Aversa
           e De Carolis, giustiziati alle Fosse Ardeatine. Forse lo sbarco degli alleati vicino Roma e la rinnovata spe-
           ranza di fine dell’occupazione tedesca a breve, insieme a sicure delazioni, avevano fatto ignorare alcune
           misure prudenziali per rimanere in clandestinità. Dopo questi dolorosi arresti, Caruso prese altre precau-
           zioni per sé e per i suoi collaboratori, sempre tessendo ottimi rapporti non solo con il Fronte Militare
           di Montezemolo ma anche con autorità civili e politiche, allo scopo di far comprendere che la sua ormai
           poderosa organizzazione clandestina era totalmente apolitica, finalizzata a liberare l’Italia dal nemico e
           non a contrastare i partiti.
           Dopo qualche giorno di prudenziale inattività, Caruso riprese l’attività operativa con i collaboratori ancora
           liberi, sempre aumentando la prudenza negli incontri e non autorizzando azioni di sabotaggio per il mo-
           mento. Cercava di dissimulare i suoi movimenti con intelligenza, dando filo da torcere alle spie naziste e
           fasciste e vi riuscì fino al maggio 1944, svolgendo un’intensa attività di collegamento e coordinamento.
           Ormai i nazisti erano venuti a conoscenza del nome e dell’importanza di questo generale italiano che, a
           Roma, era riuscito a ricompattare proprio quella istituzione che loro temevano, così, anche se non erano
           riusciti a identificarlo, comunque misero sulla sua testa una notevole taglia di 800.000 lire, che rappresen-
           tavano una fortuna per l’epoca. Caruso fu arrestato il 25 maggio 1944. Il responsabile fu un certo Angelo
           Colombini, ex capitano dei Carabinieri, passato alla Guardia Nazionale Repubblicana che era stato a capo
           del centro controspionaggio repubblicano di Roma; conosceva molto bene Caruso .
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           33   AUSSME, Fondo SIM, 1ª Divisione, b.149. Il Colombini fu poi arrestato la sera del 1° giugno 1945 a Milano.

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